Per quanto possa sembrare sorprendente il santo Padre e il presidente degli Stati Uniti d’America la pensano allo stesso modo, su una cosa: il Natale si chiama Natale. E lo ammetto con molta onestà, io sono d’accordo con loro.
Cerchiamo di fare il punto: nel mondo anglosassone, politicamente corretto, va di moda fare (sotto il periodo natalizio) il seasonal greeting. Il principio che sta alla base di questo cambiamento semantico è la volontà di non offendere i non cristiani. Evitare cioè che nel resto del mondo (alcuni miliardi) potrebbero sentirsi offesi se, in prossimità delle feste, ricevono una mail (magari di lavoro da fornitori, colleghi etc..) con scritto “Buon Natale”.
Nel tempo ho avuto il piacere di relazionarmi con persone di differenti religioni ed nazionalità. E, premesso di ricordarmele, sono solito inviare loro i miei auguri per le loro festività. Dalla festa della luce indiana, il Diwali, al solstizio di inverno zoroastriano (per lo più Centro Asia e Iran). Dall’inizio, o la fine, del Ramadam (islamici) al nuovo anno (che per i centro asiatici può essere inteso come Nowruz il 21 marzo).
La lista è piuttosto lunga ma per comodità mi fermo qui.
La cosa interessante è che, salvo pochi rari casi, i miei amici non cristiani e conoscenti, durante le festività natalizie mi augurano buon Natale, o merry Christmas. E, sino ad oggi, non mi sono mai sembrati particolarmente offesi da questo evento o dal nome con cui viene di solito etichettato il 25 dicembre. E allora cosa succede?
Succede, come ha ben detto il Santo padre oggi e Donald Trump (certo, a suo modo) qualche giorno fa, che dovremmo smetterla con le ipocrisie radical chic. Rispettare le altre religioni, usanze e costumi è sicuramente importante. Ma egualmente è importante rispettare le nostre radici religiose che, in un modo o un altro, hanno plasmato persino parte della matrice sociale e legale che oggi definisce una buona parte degli standard legali in ambito di diritti della persona, diritti civili etc..
Tuttavia da qualche anno, complici anche i nostri malsani istinti di imitare quello che viene da fuori ciecamente (di solito dagli Usa), ci siamo adattati a imitare alcune festività (Halloween) che, vabbè, alla fine è una festa male non fa. Ma ci siamo anche orientati a perseguire un aberrante modo di fare di evitare di offendere gli altri, sul nostro suolo, per un augurio che tutto è tranne che offensivo.
Se il mondo dei radical chic preoccupati delle sorti del mondo, e magari della pace nel mondo, ha turbamenti, magari potrebbero promulgarsi a diffondere meglio notizie su guerre semi-dimenticate: dallo Yemen dove muoiono come mosche, al Sudan o l’Etiopia dove di morti ce ne sono a catinelle ma pare che noi italiani siamo disattenti. Come si sa (e lo dico con tristezza non certo con felicità) il morto extra comunitario vale meno, anzi forse non vale nulla: basta vedere quanto spazio danno ai media a un attentato con un morto su suolo occidentale e scarsa copertura allo stesso evento se accade in Africa, Centro Asia, e perché no persino in Russia. Però è importante non offendere l’anima sensibile di un africano islamico, o di un bangladesho Hindu. Più che preoccuparsi ( in vero preoccupazione inesistente a mio avviso) di offenderli su una festività che anche loro apprezzano (quando meno la parte dei regali) non sarebbe opportuno valutare scenari di supporto nelle loro crisi. Non saprei io credo che un islamico reduce dai bombardamenti in Yemen, o un etiope che è scampato alle sommosse che stanno mietendo vittime a centinaia, potrebbe apprezzare maggiormente un supporto fattivo, invece di un “politicamente corretto” augurio di “festività stagionali”.
Però che dire, forse a Natale non sono abbastanza buono per tollerare tutti, compreso chi ha a cuore il rispetto altrui (a parole) e calpesta 2000 di tradizioni locali.
Buone festività natalizie a tutti!
@enricoverga