Saikou Sanneh e Kana Jallow hanno poco più di 20 anni, vengono rispettivamente dal Mali e dal Gambia e hanno trovato nella Legio XIII alle porte di Roma la propria dimensione. "Grazie al gioco non siamo più smarriti. La squadra ci ha dimostrato che possiamo essere parte di qualcosa"
L’integrazione passa anche da qui. Dalle periferie di Roma, dai campi impolverati e polverosi lontani dal centro. Da un gruppo di ragazzi che ha accolto due migranti nella loro squadra di football. “Abbiamo deciso di puntare sull’integrazione per dare una possibilità a chi ha lottato per arrivare fin qui – racconta Giacomo Tancioni, presidente della Legio XIII – Per dare un segnale, per far sentire anche agli altri ragazzi la storia di chi viene dall’inferno e cerca di ricominciare”. Saikou Sanneh e Kana Jallow hanno poco più di 20 anni, vengono rispettivamente dal Mali e dal Gambia e dopo aver attraversato il Mediterraneo in gommone hanno trovato alle porte di Roma la propria dimensione. In una squadra di football americano.
Saikou è stato costretto a scappare dal suo Paese, il Gambia, perché ritenuto gay. Ha viaggiato verso la Libia, attraversando il deserto, senza cibo. Ha passato 4 mesi in prigione e un viaggio infinito su un gommone. Kana è arrivato invece dal Mali alla Libia: a Tripoli è stato catturato dai poliziotti ed è stato rinchiuso e imprigionato per 5 mesi. È giunto in Italia su un battello insieme ad altre 150 persone.
L’arrivo in Italia per entrambi è datato agosto 2016. Dopo essere sbarcati in Calabria, i due migranti sono stati spostati a Fiumicino, ospiti di un centro di accoglienza. “Mi sono sembrati da subito dei bravi ragazzi – racconta coach Bozzarini, allenatore della Legio XIII – Nei loro occhi si leggeva che ne avevano passate tante”. Loro sono stati bravi a inserirsi, gli altri ragazzi hanno saputo accoglierli.
I due giovani migranti hanno cominciato a frequentare la scuola, imparare l’italiano e a stare insieme ai coetanei. Poi, l’incontro con la squadra della Legio XIII. “Una mattina Fabrizio Nizkad, responsabile del centro accoglienza di Fiumicino, mi chiama e mi chiede “Marco, vieni a farci qualche lezione di educazione fisica. Questi ragazzi hanno bisogno di un po’ di disciplina”, racconta Giacomo Tancioni, presidente della società. È lì che è scattata l’idea. Kana in campo non si tira mai indietro, offre belle giocate ed ha già fatto il suo esordio in Under 19. Saikou alle volte latita, “ma fa parte del carattere”, scherza coach Bozzarini. “Rimane il fatto che me li porterei sempre dietro: sono una garanzia”.
La Legio nasce nel 2008. “Al primo allenamento eravamo in 16, al secondo in 8, al terzo in 5. Questo sport ha una legge naturale tutta sua: è per tutti ma non è da tutti”, spiega il presidente. Nel 2010 la squadra si è costituita in un’associazione sportiva dilettantistica, con la volontà di insistere sul sociale. “Nel profondo del nostro sport l’appartenenza è il principio cardine. Integrazione significa appartenenza. E da noi si è tutti uguali”, continua.
Saikou e Kana sono sempre presenti agli allenamenti. Vengono da soli: prendono i mezzi da Fiumicino e arrivano in anticipo al campo di viale Marconi, a sud di Roma. “Grazie al gioco è andato via il senso di perdita e di smarrimento che provavo. La squadra mi ha dimostrato che posso essere parte di qualcosa”, racconta Saikou.
La loro storia da Roma ha attraversato l’oceano. Nelle scorse settimane l’Università del Michigan ha chiesto di portare Saikou e Kana negli Stati Uniti. I ragazzi avranno la grande opportunità di potersi allenare e conoscere una realtà come quella del football americano universitario di grande livello e di poter assistere ad una loro gara in side line. “E noi della Legio li accompagneremo in questo incredibile viaggio – aggiunge il presidente –. Direi che per i ragazzi, e di riflesso anche per il football italiano è una buona occasione per farsi conoscere oltreoceano dai grandi di questo sport. Sperando di non incepparsi nei soliti problemi con la burocrazia italiana”.
Il futuro? Saikou oramai ha preso la strada dell’operatore per i rifugiati. Kana potrebbe fare l’allenatore. “Lo sento come un figlio, come il figlio più debole: sento di dovergli di più”, conclude il coach. Oggi, dopo un anno passato in squadra, i ragazzi sono giocatori a pieno titolo: corrono, sudano e placcano insieme ai loro compagni. “Grazie a tutti – continua a ripetere Kana nel suo italiano indeciso – Mi sento felice, adesso”. “Ricordo quel momento come fosse ieri – conclude Giacomo, il presidente –. Ricordo Kana che placca e abbraccia i compagni. Ricordo Saikou che intercetta la palla e gli altri che gli corrono incontro. Lo portano in trionfo. Era felicissimo”. Il simbolo della Legio è un leone. Proprio come quello sullo stemma nazionale del Gambia. Roma e Africa non sono mai state tanto vicine.