L’anno è quasi finito ed è tempo di bilanci. Quello che segue per me è l’ultimo scritto del 2017 e conclude la mia serie di consigli per gli ascolti. Da circa un mese a questa parte, ho raccolto infatti alcune voci migliori incontrate in giro per l’Italia dei concorsi di musica d’autore in cui sono stato in giuria. Oggi è la volta di Mirkoeilcane, al secolo Mirko Mancini. Cantautore romano nato nel 1986, sarà uno dei protagonisti del prossimo Festival di Sanremo, in gara tra i giovani con la canzone Stiamo tutti bene; ma, per molti addetti ai lavori, Mirkoeilcane non è affatto una novità venuta fuori da “Sarà Sanremo” su Rai Uno lo scorso 15 dicembre.

Già vincitore del Premio Bindi e di Musicultura , su queste mie pagine non è la prima volta che parlo di lui. In particolare, ne parlai ancor prima qui, in occasione della sua partecipazione a Botteghe d’autore. Dissi che a mio avviso avrebbe dovuto “aggiudicarsi nettamente il riconoscimento più importante”. Esageravo? non credo. Spiego perché.

In quella occasione, Mirkoeilcane cantò la canzone Profili (a)sociali, brano contenuto nel disco omonimo del 2015: uno spaccato che raccoglie i paradossi dei giovani romani dei luoghi più gettonati della città. Partendo da Roma, ovviamente il discorso si estende all’intera società italiana. Quando lo ascoltai per la prima volta, mi fece pensare al Gaber di Quando è moda è moda del 1978. Mirkoeilcane, come Gaber, infatti, pone l’accento sui paradossi della società, tramite canzoni da cantare in faccia ai protagonisti destinatari. “Ora il mondo è pieno di queste facce/ è veramente troppo pieno./ E questo scambio di emozioni,/ di barbe, di baffi e di chimoni,/ non fa più male a nessuno”, cantava Gaber. Parole che tornano alla mente in Profili (a)sociali: “Siamo uguali/ tutti quanti somiglianti./ […] E adesso guardaci:/ stessi capelli, stessi abiti,/ siamo fregati, siamo numeri,/ catalogati come i farmaci”, col passo in più dettato dalla storia e dalla tecnologia: l’assurda idea secondo cui il virtuale e i social network sarebbero luogo di riscatto.

Inoltre, col significato delle parole e col ritmo ballabile e martellante, il cantautore romano usa il linguaggio dell’oggetto della sua denuncia. Lo faceva, negli anni Sessanta, Sergio Endrigo, che nel cuore della società perbenista italiana cantava dell’audacia sessuale di Teresa o di tragici risvolti sentimentali in via Broletto: con una voce e una scrittura usuale cantava concetti a volte anche urticanti. Dunque, tramite delle armi conosciute, riusciva a entrare nel cuore pulsante della società del tempo e – da lì – colpire al centro. Mirkoeilcane con Profili (a)sociali o con il suo singolo del 2017 Epurestestate, fa lo stesso.

Chiariamo: non sto paragonando Gaber o Endrigo a Mirkoeilcane per valore assoluto; sarebbe ingeneroso. Ma di certo non sarà fuori luogo citare questi capostipiti, che hanno contribuito in maniera importante a determinare il canone della canzone d’autore italiana, quando troviamo elementi vicini tra la loro poetica e quella di un giovane cantautore.

La provenienza musicale di Mirko Mancini è di gran pregio: della migliore canzone d’autore ha mantenuto lo sguardo lucido e autentico sul mondo, fatto passare attraverso l’applicazione di timbri e ritmi d’impatto come nel tempo hanno fatto per esempio Daniele Silvestri o Samuele Bersani. Poi, però, esprime una poetica completamente nuova, completamente sua. Sorprende in particolare la capacità di indirizzare la voce: sentirlo parlare e poi cantare evidenzia l’autenticità di chi applica una consequenzialità naturale tra la propria voce non impostata e il canto. In più colpisce la grande sapienza di scrittura, di chi sa gestire lo spazio della strofa, per far sì che ci sia una narratività, un racconto, un prima e un dopo. Questo accade soprattutto nel brano di Sanremo, Stiamo tutti bene.

Qui c’è proprio una climax ascendente, che narra il tema dei migranti, un attraversamento in mare oramai all’ordine del giorno, con epilogo tragico. Colpiscono diverse cose: lo sguardo del protagonista, l’ironia amara, la delicatezza dell’uso dei termini e degli atteggiamenti del ragazzino e le parole porte in modo attento, ingenuo e fatale. La sua vittoria a Sanremo sarebbe un bell’esempio di come l’ottima canzone d’autore sia capace di guadagnarsi una vetrina ampia e meritata.

Ecco l’esibizione dello scorso 15 dicembre:

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