Non è stata solo la mancata approvazione della legge sullo Ius soli a farci ricordare il 2017 come l’anno in cui abbiamo perso un importante appuntamento con l’inclusione. Quest’ultima passa anche attraverso la lotta alla marginalità sociale, la promozione della giustizia sociale e la battaglia a tutto campo contro la disoccupazione e la povertà. E sapere, come ha dimostrato il mese scorso l’Eurostat, che siamo il Paese europeo con più poveri non aiuta a festeggiare con spensieratezza l’ultimo dell’anno.
Nel 2017 sono state 75 milioni le persone nell’Ue – vale a dire più dell’intera popolazione dello Stato membro più grande – a vivere al di sotto della soglia della povertà, misurata sulla possibilità di consumare un pasto proteico ogni due giorni, di riuscire a sostenere spese impreviste e di pagare l’affitto con puntualità. Gli italiani che vivono questa condizione sono più di dieci milioni, seguiti dai cittadini rumeni.
Se poi ci riferiamo ai “poveri assoluti”, quelli che non hanno avuto accesso a beni e servizi essenziali, negli ultimi dieci anni nel nostro Paese sono triplicati, arrivando a quasi cinque milioni di unità. Un milione e 300mila sono bambini, un numero drammatico se si pensa che la deprivazione materiale cammina a braccetto con la povertà educativa ed il basso livello di istruzione.
Davanti a cinque milioni di italiani affondati nella povertà, ce ne sono 18 milioni che rischiano di caderci dentro con tutti e due i piedi: un cittadino su tre. Tutto ciò a fronte di un sensibile aumento della diseguaglianza, visto che più di 10 milioni di concittadini hanno assistito negli ultimi anni alla crescita della propria ricchezza. La diseguaglianza dei redditi raggiunge in Italia l’indice più alto rispetto agli altri Paesi europei e la forbice tra il 20% più ricco e il 20% più povero si è drammaticamente ampliata. Così come il divario tra il Nord e il Mezzogiorno che resta l’area geografica maggiormente colpita da una esclusione sociale e una povertà cronicizzata.
In tale quadro il flusso migratorio proveniente dall’Africa, se gestito con politiche escludenti e sicuritarie, potrebbe rappresentare la miccia ideale dalla quale appiccare il fuoco di un conflitto sociale che ormai tocchiamo con mano ogni giorno nelle banlieue delle città italiane. Lo sanno bene quei politici che su questa miccia soffiano giornalmente, con irresponsabilità e cinismo, invocando una “guerra tra poveri” e scaricando così le proprie responsabilità.
Nel 2018 l’Italia dovrà fare di più, molto di più, per allentare la tensione sociale e per dare respiro non solo all’economia, ma soprattutto a una Costituzione che fonda i suoi valori sul rispetto della dignità umana e della solidarietà. L’unica strada passa per il sostegno ai cittadini più vulnerabili: quelli (denominati “italiani”) che più degli altri hanno pagato le conseguenze dell’ultima devastante crisi economica e finanziaria e quelli (additati come “profughi” o “clandestini”) che fuggono dalle crisi globali che hanno le loro origini nelle guerre e nei cambiamenti climatici. Dovranno essere entrambi, indistintamente, al centro dell’agenda politica del prossimo governo.
I primi segnali di risposta dei decisori politici sono stati nel 2017 troppo tiepidi. Il reddito di inclusione, un assegno che non raggiunge i 500 euro e riguarderà solo 1,8 milioni di persone, è assolutamente insufficiente e le deboli – e talvolta contraddittorie – politiche inclusive altro non sono state che la cartina di tornasole di una classe politica forte nei proclami ma incapace di costruire sistemi di protezione sociale e di salvaguardare diritti fondamentali.
Una cosa dovrà essere chiara: la lotta alla povertà e l’inclusione sociale saranno le due priorità che nel 2018 dovremmo avere tutti davanti e sulle quali dovremmo misurare gli impegni di chi sarà chiamato a governarci. Sintetizzate in due parole: giustizia sociale. Che dovrà basarsi sull’occupazione e sulla protezione dei diritti fondamentali e sostenersi su un’ampia gamma di politiche sociali nei settori dell’istruzione, dell’assistenza sociale, degli alloggi, della sanità, dei giovani e della famiglia. Aree queste su cui si fonda e si solidifica una comunità umana solidale, la stessa che siamo chiamati a costruire nel nuovo anno e che pone al centro quanti sono rimasti indietro.
E’ questo il vero augurio per un buon 2018!