All’inizio, dopo l’intervento, sembrava che non succedesse niente. Dopo qualche tempo Almerina Mascarello ha cominciato a sentire le caratteristiche di quello che toccava: la forma degli oggetti, tondi, cilindrici, quadrati, duro o morbido, addirittura la differenza tra zigrinature sottili o più grossolane. A quel punto è scoppiato l’entusiasmo: “È come se fosse tornata la mia mano”, ha esclamato la donna davanti ai medici. Lo racconta all’Ansa il neurologo Paolo Maria Rossini direttore dell’area neuroscienze del Policlinico Gemelli di Roma che ha seguito la sperimentazione e l’intervento di impianto della mano bionica alla prima italiana a cui 25 anni fa venne amputato il braccio sotto il gomito dopo un incidente. L’auspicio del neurologo è che la commercializzazione porti a un costo massimo di mille euro per ogni mano bionica.

L’impianto è figlio dell’intuizione che nel moncherino rimasto dopo un’amputazione restano i nervi. Inserire degli elettrodi della grandezza di un capello consente che i segnali di movimento inviati dal cervello vengano trasmessi alla mano robotica che, informatizzata, raccoglie l’input e risponde. Finora lo stimolatore, le pile e la strumentazione collegati alla mano sono stati portati dal paziente in uno zainetto. Il prossimo intervento prevede che l’intero sistema realizzato in dimensioni estremamente piccole finisca tutto dentro il braccio.

Rossini ripercorre i passaggi informatici, tecnologici e clinici che hanno portato all’impianto durato sei mesi. Almerina è stata scelta tra numerosi candidati di tutte le nazionalità, in precedenza altri quattro pazienti hanno tenuto l’arto (costruito nella scuola Sant’Anna di Pisa) da alcune settimane a tre mesi. La normativa europea infatti non consente l’innesto di corpi estranei per un periodo maggiore di quello che è stato sperimentato sugli animali. Nei prossimi mesi toccherà di nuovo a un giovane danese che ha già avuto la mano in passato e sul quale dovrebbe essere impianta definitivamente.

“Queste persone ci hanno regalato settimane della loro vita, si sono sottoposti a due interventi ciascuno, hanno aiutato la scienza, gratuitamente. Sperano che a breve la commercializzazione gli consenta di avere un arto definitivo. E per loro naturalmente sarà gratis”, spiega Rossini. Il costo ha un suo peso: tra esperimento, realizzazione e lavoro delle equipe del gruppo di cui fanno parte gli italiani – da Germania, Francia, Spagna, Olanda, Svizzera – ogni impianto è costato alcune centinaia di migliaia di euro. La donna ha portato con sé lo zainetto uscendo a Roma, nell’ottobre 2016, sotto il controllo dei responsabili del test. “Dopo sei mesi l’impianto è stato tolto. L’obiettivo ultimo – ha concluso Micera – è rendere questa tecnologia utilizzabile clinicamente. Lo zainetto è stato uno step intermedio e il prossimo passo è miniaturizzare l’elettronica”.

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