Leggendo – e osservando in rete – della rivolta dei consumatori sull’obbligo di pagare i nuovi sacchetti biodegradabili per i prodotti ortofrutticoli, mi sono chiesta ripetutamente perché una misura dalle conseguenze non troppo drastiche sui portafogli dei cittadini abbia scatenato un’ira così elevata. I giornali in questi giorni sono pieni, come sempre d’altronde, sia di cronache di altre misure inique verso i consumatori (basti pensare ai rincari autostradali, o alle compagnie telefoniche che hanno di fatto aumentato le tariffe dell’8% introducendo la bolletta a 28 giorni), sia di notizia tragiche verso cui la nostra esistenza dovrebbe forse essere più fruttuosamente catalizzata (leggevo, tra l’altro, sgomenta, della carestia che sta colpendo il Venezuela e causando la morte di fame di centinaia di bambini. Vicenda che rendeva ai miei occhi l’ossessione sul sacchetto un po’ assurda).
Eppure, se la si analizza con un po’ di attenzione, il motivo per cui il “caso sacchetti” ha costretto persino il governo a intervenire, appare chiaro. E insegna parecchie cose, ne elenco cinque, che chi fa le leggi dovrebbe secondo me ricordare.
1. La gente si mobilita con la massima determinazione e indignazione quando una normativa va a toccare gli aspetti più pratici e concreti dell’esistenza quotidiana. Ma in questo caso c’è un di più, visto che, come ho detto, anche altre misure hanno colpito la nostra esistenza di consumatori. Il sacchetto del supermercato è forse il simbolo più emblematico della vita di tutti i giorni, perché coinvolge frutta e verdura, che consumiamo regolarmente. Per questo la legge, che costringe i consumatori a cambiare un’abitudine e a farlo in peggio, ha ricordato in qualche modo le odiose gabelle sul pane che leggiamo nei libri di storia. Il paragone non è forzato, fatte le debite differenze delle condizioni di vita. Che però, appunto, sono peggiorate pesantemente rispetto a quando furono introdotti – ricordate – i sacchetti biodegradabili che danno alle casse e sui quali ci fu meno clamore.
2. L’altro aspetto che ha fatto scatenare la rabbia dei consumatori è stato, senza dubbio, il sospetto di conflitto di interesse. Che a capo di una delle maggiore aziende produttrici ci sia Catia Bastioli, che Renzi nel 2014 ha nominato presidente di Terna, è forse l’aspetto che più ha reso questa misura insopportabile. Che sia una norma fatta davvero ad hoc o meno, poco importa: basta che un conflitto trapeli a creare nella mente delle persone un collegamento insopportabile tra il favore ad un’azienda amica e il costo sui consumatori.
3. C’è poi la questione dell’Europa. I consumatori, e i cittadini, verso l’Europa hanno un atteggiamento ambivalente: persecutrice da un lato, quando ci chiede di ridurre il deficit anche a scapito della sostenibilità della nostra vita, salvatrice dall’alto, quando appunto impone misure che spesso e volentieri sono a favore dei consumatori. Invece qui c’è il paradosso di una misura che l’Europa non ha reso obbligatoria. Una piccola persecuzione, insomma, che ci siamo auto-inflitti, e che altri paesi hanno invece recepito in maniera più morbida e flessibile. Un paradosso che rende la decisione ancora più sospetta e incomprensibile.
4. Un altro aspetto che ha creato proteste è il fatto che la norma sia scarsamente comprensibile e contraddittoria. Se si fa per l’ambiente perché non si può riutilizzare il sacchetto? E perché non si può portare da casa una civilissima retina, ad esempio, come fanno in altri paesi, che poi si riporta con sé? E perché le aziende non possono offrirla ai consumatori, invece che obbligarli a pagare? E perché si paga lo stesso, anche se non si prende (sui social sono circolate e decine e decine di foto di frutta presa senza busta associata a scontrini con il costo della busta addebitato). Quando furono introdotti i sacchetti a pagamento alle casse, non fu parimenti messo l’obbligo di prenderli, tanto che in molti, infatti, decidono di portarli da casa. Insomma, la legge andrebbe chiarita, e modificata, in alcuni punti, invece che difesa tout court.
5. Da ultimo, non è stata spiegata a fondo la ragione dell’introduzione del sacchetto a pagamento. Sarebbe stata necessaria una campagna mediatica, sia pure piccola, che legasse con chiarezza la scelta di introdurre i sacchetti a pagamento con la difesa dell’ambiente. Invece, quest’ultimo è apparso solo come un baluardo a cui appellarsi per giustificare una norma lacunosa e probabilmente gravata da un conflitto di interesse. Insomma, se c’era una ragione ambientale non è stata resa chiara, anzi piuttosto è apparsa come un’ipocrita copertura.
Insomma, l’aver toccato il simbolo della vita di tutti i giorni, il sospetto di conflitto di interesse, il paradosso di un’Europa che non aveva chiesto questa misura, la contraddittorietà della legge, la scarsa capacità di comunicare i motivi della stessa: ecco perché una normativa che avrebbe potuto passare sotto silenzio ha innescato invece un vero e proprio putiferio mediatico. Si può scegliere senz’altro di tacciare i social media di aver creato un fuoco di paglia, così come i consumatori di aver esagerato sulle conseguenze sulle loro vite dell’entrata in vigore di questa legge. Io, però, se fossi il governo, rifletterei sui motivi per i quali invece i sacchetti a pagamento sono diventati un caso. Ci sarebbe molto da imparare.