Dove sono oggi i tifosi (italiani e non) di una Turchia da far entrare nell’Ue? Sarebbe interessante confrontare le loro opinioni di merito su quali e quanti progressi abbia compiuto Ankara anche alla luce delle numerose provocazioni targate Erdogan, o da lui ispirate. Certo, oggi è la Turchia che non ha interesse a diventare stato membro, ma il punto non è quello bensì la lista di comportamenti scorretti che a Erdogan sono stati inspiegabilmente condonati (da Bruxelles e Berlino).

L’ultimo in ordine di tempo attiene al matrimonio che “evita l’adulterio”. Lo sostiene la direzione per gli Affari religiosi (Diyanet), massima autorità musulmana nel Paese, che indica anche l’età giusta per sposarsi: 9 anni. L’interpretazione è stata pubblicata in un glossario online dei termini islamici dalla Diyanet, la stessa che solo un mese fa ne aveva detta un’altra, scagliandosi contro la tinta di baffi e capelli perché “fuorvia l’immagine”, mentre non una parola aveva mai pronunciato contro l’Isis che ammazza gridando Allah Akbar.

Restando nel campo dei mancati diritti umani, le tracce del “Sultano di Ankara” conducono alle battaglie campali contro YouTube, contro i social network, contro quelle libertà che attengono all’autodeterminazione del singolo individuo, senza dimenticare il golpe farlocco che è costato la vita e il carcere a migliaia di cittadini e professionisti.

Ma c’è dell’altro, che spesso esce dall’agenda politica e mediatica europea. Erdogan è passato indenne da un grosso scandalo, la cosiddetta “Tangentopoli sul Bosforo” – come definita da molti giornali italiani – che quattro anni fa decapitò i vertici del suo partito, coinvolti in un grosso affare di mazzette per costruzioni e appalti, toccando anche l’ong di suo figlio. Nomi di peso fecero le valige da posti di potere, come il direttore della Banca pubblica Halk Bankasi, Suleyman Aslan, il manager azero, Reza Zerrab, mentre in quelle ore Erdogan minacciò anche l’espulsione degli ambasciatori stranieri come se vi fosse un qualche nesso.

Tra l’altro, il successivo rimpasto di governo portò all’investitura a premier Ahmet Davutoglu, già ministro degli Esteri, poi cacciato dallo stesso Erdogan. Si era reso protagonista del volume “Profondità strategica” (“Stratejik Derinlik”, 2001), in cui aveva proposto una nuova forma di azione per la diplomazia turca, basata essenzialmente sull’Islam e sul passato ottomano della Turchia. L’obiettivo dichiarato era quello di incarnare nuovamente un ruolo di potenza regionale.

Potenza regionale che ancora oggi minaccia regolarmente i vicini di casa, Grecia e Cipro, facendosi un baffo di leggi e trattati. Quello di Losanna che ha disegnato la geografia dell’Egeo un secolo fa è a giorni alterni criticato da Erdogan, che vorrebbe sottoporlo anche a referendum. Mentre a Cipro si sta consumando una beffa degna del peggior cinepanettone: Ankara avanza rivedicazioni che nessuna legge gli offre (nello specifico il Trattato di Montego Bay) al solo scopo di inserirsi nello sfruttamento degli idrocarburi che invece appartengono alla zona economica esclusiva di Cipro che, ricordiamolo, è un Paese membro dell’Ue mentre la parte settentrionale è occupata abusivamente da 50mila militari turchi e, quindi, non è riconosciuta dall’Onu.

Non solo Bruxelles ormai reagisce con passività agli strali del sultano, ma finanche il commissario italiano, Federica Mogherini ovvero Lady Pesc, non mostra sufficiente determinazione. A Cipro, per dire, alla partita sul gas partecipa anche una squadra italiana: forse l’occasione giusta per tornare a dibattere di Turchia, di Medio Oriente e di geopolitica. Ma a patto di avere gli interlocutori giusti e non improvvisati burocrati in cerca (forse solo) di un seggio sicuro.

twitter @FDepalo

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