“Buonasera, stiamo per iniziare un viaggio straordinario, unico“. A parlare così non è la voce narrante di un film alla Hugo Cabret e in questa frase non c’è, come si potrebbe pensare, un esubero di aggettivi. Anzi, gli aggettivi (e i superlativi, addirittura) in questo caso sono indispensabili. Non siamo al cinema, ma in televisione. Su RaiUno, per l’esattezza. E queste sono le parole con le quali Alberto Angela ha aperto la prima puntata di Meraviglie, il suo nuovo programma che ieri sera ha radunato davanti al piccolo schermo 5.662.000 spettatori pari al 23.8% di share. Un risultato che permette alla Rai di gongolare, anche perché arriva dopo il grande successo dello show di Roberto Bolle, e il messaggio sembra chiaro: la Rai può ancora fare servizio pubblico, e può farlo parecchio bene. Meraviglie ne è esempio perfetto. Si diceva che l’uso di aggettivi e di superlativi è quasi doveroso e così è: trovandosi di fronte alla tv, ieri sera, in molti avranno più volte esclamato “è bellissimo!” o cose simili. E in molti si saranno emozionati, perché la bellezza fa così e il viaggio di dodici tappe nei siti riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità che Meraviglie proporrà nelle sue puntate è bello, per davvero.
Padrone di casa, un Alberto Angela impeccabile. D’altronde si tratta di un signore che ‘mette tutti seduti’ con il solo timbro vocale. Di un signore che ottiene la totale attenzione di chi ascolta, per tutto il tempo, perché ha carisma da dare in prestito e perché racconta storie bellissime. S’inizia con Leonardo Da Vinci: “Tutti noi – spiega Alberto – conosciamo il Cenacolo. O perlomeno pensiamo di conoscerlo. Ma ci sono tanti dettagli che ci sfuggono…”. Dettagli che stavolta nascondono il paradiso, mica il diavolo. “E’ come una fotografia, rappresenta il momento preciso in cui Gesù pronuncia la famosa frase “in verità vi dico, qualcuno di voi mi tradirà'”. ‘Sequestrato’ da immagini e parole, lo spettatore ascolta e in quello che ha già visto mille volte vede cose nuove. La fiction storica si mischia alla narrazione e la testa si arricchisce, come fosse un salvadanaio, di monete di conoscenza. Dal Cenacolo ci si sposta a Siena, la bellissima Siena. C’è Gianna Nannini, ci sono le immagini mozzafiato di Piazza del Campo, c’è la Val D’Orcia, che se uno non c’è stato mai immagina esistere solo nelle cartoline dipinte dagli artisti di strada come ideale della “Toscana perfetta”.
Dalla “più commovente campagna che esiste”, con intervalli che sono cartoline dall’Italia, si arriva alla Valle dei Templi. Sicilia, Agrigento. Il Tempio della Concordia apre la narrazione, “un vascello che ha attraversato le epoche, ogni volta con un equipaggio diverso”. E a rendere il racconto ancora più cinematografico ci pensa Andrea Camilleri, con i suoi ricordi di ragazzo. L’aneddoto dell’incontro con Robert Capa è una storia di quelle che si vorrebbero ascoltare cento volte, come storia vera della buonanotte o del buongiorno, non importa quando. “Quando nel luglio 1943 gli alleati sbarcarono in Sicilia – inizia a raccontare lo scrittore siciliano – io mi trovavo con mia madre e alcuni familiari al centro dell’Isola. Mio padre, per ragioni di servizio, era rimasto a Porto Empedocle e noi non sapevamo nulla di lui”.
Te lo immagini ragazzino Andrea, mentre racconta, con le ghette e le bretelle. Andrea, che decide di prendere una bicicletta per andare a vedere come sta il babbo: “Devo dire che avevo la sensazione di pedalare contromano, perché tutto l’esercito alleato invadeva la strada e io andavo in senso contrario a loro”. Andrea che arriva a Porto Empedocle e scopre che il padre si è salvato e che prima di correre a dirlo alla mamma decide di fermarsi a vedere se la Valle dei Templi è sopravvissuta a un’altra guerra. “Mi diressi proprio verso il Tempio della Concordia. Davanti al tempio non c’era nessuno. C’era solo un americano in divisa. Era la prima volta che vedevo un uomo bardato in questo modo: aveva tre o quattro macchine fotografiche che gli pendevano dal collo. Poi aveva un treppiedi sul quale aveva posizionato una macchina fotografica e tentava di fotografare il Tempio della Concordia ma evidentemente l’inquadratura non lo soddisfaceva perché mormorava qualcosa tra i denti. Mentre stava facendo questa operazione ci fu, sopra di noi, uno scontro aereo. Immediatamente il soldato si buttò spalle a terra, staccò dal collo la macchina fotografica e iniziò a fotografare, come se mitragliasse gli aerei”. Te la immagini la scena, mentre Camilleri la racconta, e ti immagini anche il momento in cui i due si scrivono i rispettivi nomi su un foglio e qualche tempo dopo, aprendolo, lo scrittore siciliano legge nel suo pezzetto di carta “Robert Capa“. Il più grande fotoreporter di guerra di ogni tempo. Finché ci saranno storie come questa da ascoltare e programmi tv come Meraviglie da vedere, possiamo pensare che “il mondo è un bel posto e per esso vale la pena di lottare”.