“Dovremmo chiederci se ci terrorizza più Barbara D’Urso o l’Isis. A me fanno più paura la D’Urso e le sue consimili“. Così a Otto e Mezzo (La7) il filosofo della Comunicazione, Carmine Castoro, ricorrendo a un paradosso, come lui stesso sottolinea, si pronuncia sulla ‘tv del dolore’, sempre più massicciamente presente nei palinsesti televisivi italiani. Immediata la reazione della conduttrice, Lilli Gruber, che cerca di soffiare sul fuoco: “Facciamo gli auguri a Barbara D’Urso. Fa grandi ascolti, complimenti”. Castoro, autore del saggio ‘Il sangue e lo schermo’, spiega: “Siamo di fronte a tempi non solo di povertà economica, ma anche di grande miseria simbolica. Questo è il grande vulnus. E’ il caso di tutte quelle trasmissioni che, invece di rappresentare in maniera complessa il male, ce ne danno una fiaba distorta, una misperception”. Rincara il giornalista Massimo Bernardini: “Si sta creando ormai da molti anni anche una intera generazione che si crede cronista, perché passa il tempo davanti alle villette. E questo succede in tutti i canali della tv italiana”. Castoro aggiunge: “Ci sono due polarità: da un lato, c’è il massimo del sangue, della guerra, dell’odio, rappresentati dall’Isis e dall’esportazione del terrorismo nelle nostre città. E c’è soprattutto una trasformazione progressiva della società in una fabbrica di odio, di violenza, di morte. Dall’altro lato, abbiamo questa finzionalizzazione e futilizzazione del dolore, che ci porta a quello che diceva Pierre Bourdieu negli anni ’90: le tragedie senza legami. Se togliamo al dolore” – continua – “la filiera delle cause, della storia, della memoria, delle responsabilità e delle soluzioni, abbiamo di fronte a noi un cinico trastullo, al quale si dedicano con grande profitto tante trasmissioni televisive e tanti conduttori. Questo nel tempo è diventato inconcludente e ignobile“. Carlo Freccero osserva: “Purtroppo è una tv che ha un suo pubblico. Non esiste più la tv, ma ci sono tante tv con il loro pubblico. E il pubblico che segue quel tipo di tv, anziché seguire Fox Crime, trova nella cronaca nera elementi di un racconto, che è sempre esistito”. Castoro non è d’accordo: “Non è un racconto, ma la rappresentazione del delitto come un gioco di società, coi giornalisti che fanno esclusive, intervistando il parrucchiere della vittima ammazzata. Sotto lo scudo dello storytelling tutto può essere accettato, ma ci sarà anche un confine”. “E’ l’americanizzazione della notizia“, precisa Freccero. “Per me è l’anticamera della barbarie“, replica il filosofo, con cui concorda l’ex direttore di Rai Due. Castoro menziona poi uno studio dell’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca e di analisi della comunicazione: “E’ emerso che la quello che viene trasmesso nel programma della D’Urso è destituito di qualsiasi significato civico e pubblico e di qualunque principio di informazione e di interesse giornalistico, attardandosi su dettagli morbosi”. “Pensavamo anche di aver un po’ superato la tv pedagogica”, commenta Lilli Gruber
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