Quando i bambini sono così piccoli da non poter parlare è sempre complicato capire cosa non va. Un’app che misura il dolore dei malati più piccini, quelli che non possono parlare e nemmeno far capire con il dito ‘quanto mi fa male qui’: i neonati, è stata inventata all’ospedale Mauriziano di Torino e ha superato a pieni voti, con tanto di premio per il contributo scientifico, il vaglio del Congresso internazionale di ricerca bioinformatica di Barcellona. Il dispositivo è a scopo terapeutico e, fondamentalmente, si basa sulla lettura della mimica facciale del piccolo paziente con la contemporanea misurazione della saturazione di ossigeno, del battito cardiaco e della frequenza respiratoria. Bastano una telecamera, piazzata accanto all’incubatrice o al fasciatoio, un algoritmo per l’elaborazione dei dati e uno smartphone. Dolore e parametri vitali monitorati senza fili o sensori. Tutto wireless.

“Il nostro obiettivo finale – sottolineano i neonatologi del Mauriziano – non è sostituire il medico o l’assistente del pediatra, ma mettere la tecnologia a loro disposizione“. L’idea è stata di Emilia Parodi, del reparto neonatologia diretto da Mario Frigerio, e il progetto è stato avviato con la collaborazione degli ingegneri dell’Istituto superiore Mario Boella di Torino, statistici del dipartimento di Matematica dell’Università subalpina, epidemiologi di Scienze cliniche e biologiche dell’ateneo, medici e infermieri. I neonati – soprattutto se prematuri – sono una categoria di pazienti sottoposti spesso a procedure dolorose, ma la loro incapacità di comunicare verbalmente complica la valutazione delle sofferenze che avvertono. E il dolore ripetitivo in una fase precoce dello sviluppo del sistema nervoso può comportare effetti dannosi a breve e a lungo termine.

Delle bussole per medici e infermieri sono già state validate dalla letteratura scientifica. Abitudine, allenamento ed esperienza permettono di cogliere i segnali di dolore che arrivano dalle smorfie, dal movimento degli arti, dalle alterazioni della frequenza cardiaca; quindi, applicando delle ‘scale algometriche’, i dati possono essere trasformati in un punteggio: più è alto, maggiore è il malessere. Ma i problemi non mancano: la procedura richiede tempo, i parametri da tenere simultaneamente sotto controllo sono tanti, la valutazione è difficilmente ripetibile. La app promette di superarli. Al Mauriziano confidano di accedere ai bandi per ottenere finanziamenti regionali ed europei che consentano di sviluppare dispositivi destinati alla pratica clinica. Il futuro passa per un implemento dell’algoritmo che consenta l’uso non solo in terapia intensiva ma anche al letto in ospedale e, se al bimbo servisse un monitoraggio particolare, addirittura a casa.

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