Il trasporto locale ha perso oltre sei punti di quota modale tra il 2002 e il 2016, passando dal 37,2% al 31,1% secondo i dati Isfort/Aci. Da anni tutti sostengono di voler combattere disservizi, smog e congestione da traffico, ma non si fanno passi avanti. A mantenere ingessati gli assetti gestionali, poco industriali e obsoleti, sono tutti d’accordo: aziende (manager e sindacati) proprietari pubblici (Comuni, Regioni o Stato) e creditori (banche) fanno affari sui mutui concessi alle aziende che vivono perennemente in stato fallimentare con le garanzie pubbliche dei proprietari. Tutte le grandi aziende di trasporti (Atac, Atm, FS ecc.) pressano, per evitare le gare, i loro proprietari (Comuni e Stato) che sono anche i programmatori e i soggetti stipulanti dei contratti di servizio.

Neppure a livello legislativo le cose vanno meglio. La normativa del settore è burocratica e chiusa ad ogni innovazione. Il caso più eclatante è il ripristino del regio decreto 148 del 1931 (che regola il rapporto di lavoro dei ferrotranvieri), soppresso per errore e subito recuperato dal Parlamento.

Nel solco dei governi di destra, di sinistra ed ora anche pentastellati, prosegue con successo la politica corporativa delle aziende di trasporto pubblico. In questo quadro si legge la miope decisione (e consociativa) della Giunta Raggi di prolungare il contratto di servizio con l’Atac, in scadenza nel 2019, fino al 2021. La proroga del contratto di servizio in house ad Atac nel momento in cui la città attende, da parte della Sindaca, l’indizione del referendum per la messa a gara del Tpl romano. E’ uno smacco ai danni dei cittadini: non solo ai 33mila che hanno firmato la richiesta di referendum. In contrasto con quanto avvenuto nel vecchio continente, l’Italia intende mantenere un contesto monopolista e con esso una bassa qualità dei servizi, poca utenza e costi economico-finanziari abnormi.

L’alibi è quello di consentire all’azienda che ha avviato la strada del concordato preventivo, di attuare il piano di risanamento nell’arco di quattro anni. La certezza invece è quella che nel tempo si riconsolideranno le vecchie politiche consociative dietro piani industriali “sfavillanti” che rimarranno sulla carta, vista la priorità di conseguire unicamente l’obiettivo “sociale” della difesa dell’occupazione dei 12mila addetti.

Resterà un enorme divario di efficienza e di produttività con il resto d’Europa, dove le politiche integrate dell’offerta dei servizi e delle tariffe sono praticamente assenti sia nelle aree urbane che in quelle extra-urbane. In Europa negli ultimi decenni la liberalizzazione (regolata) del settore per l’affidamento dei servizi ha potenziato e migliorato l’offerta di trasporti pubblici, reso efficiente la spesa pubblica, migliorato la vivibilità nelle città, ridotto l’inquinamento atmosferico e la congestione.

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