Disabili, Laura: un’italiana a Miss Mondo. “La sedia a rotelle? Per me vuol dire libertà. Ma l’Italia è ancora indietro”
Colloquio con Laura Miola, 27 anni, è stata l'unica concorrente alle finali di Miss Wheelchair World a Varsavia: "Una manifestazione che dimostra che ogni donna è meravigliosa, sui suoi piedi e sulle sue ruote". Denuncia la presenza di troppe barriere architettoniche e lancia una sfida ai diversamente abili: "Dobbiamo lottare per avere diritti validi per tutti"
“Non poter camminare non impedisce di vivere la tua vita nel pieno delle potenzialità: puoi esprimere tutta la tua bellezza e la tua personalità in piedi o seduta. Per me la carrozzina è un simbolo concreto di libertà”. Laura Miola, 27 anni, è l’unica concorrente italiana a Miss Wheelchair World. Le finali di Varsavia, alle quali hanno partecipato 24 ragazze di 19 Paesi, ha visto la vittoria della bielorussa Alexandra Chichikova.
“Questo concorso di bellezza – dice Miola a ilfatto.it – è stata un’occasione per dimostrare che ogni donna è meravigliosa sia sui suoi piedi che sulle sue ruote e mi auguro che arrivi un messaggio positivo, che inizi a cambiare l’immagine delle persone con disabilità ma soprattutto mi auguro che cambi l’immagine che spesso i disabili hanno di se stessi: la carrozzina non deve rappresentare un limite. Anzi, spero che un domani un concorso come questo non ci sia più perché finalmente si potrà gareggiare insieme alle altre ragazze normodotate”. Laura Miola abita in provincia di Latina, si è laureata in Metodi e tecniche della Comunicazione, in particolare di quella digitale, e si è sposata ad aprile dopo 14 anni di fidanzamento. E’ affetta dalla malattia di Charcot-Marie-Tooth, patologia neurologica genetica che colpisce il sistema nervoso periferico.
Ha avuto i primi sintomi a 3 anni ma, come succede non di rado, ha avuto una diagnosi solo a 24 anni. “E per questo devo ringraziare il dottor Davide Pareyson“. Anche perché in quel momento ha “provato un senso di ‘liberazione’ perché finalmente ero venuta a conoscenza di quello che avevo da oltre vent’anni”. La Cmt ha una prevalenza di cinque persone malate ogni 10mila e può manifestarsi a qualsiasi età: è una neuropatia motorio-sensitiva ereditaria che colpisce in particolare le donne.
Quella del concorso per Laura “è stata una emozione speciale, una serata fantastica”. Per arrivare fino all’appuntamento di Varsavia ha dovuto superare diverse selezioni: “Ho dovuto dimostrare di saper parlare fluentemente in inglese, dimostrare una buona cultura generale, oltre che essere in grado di lanciare messaggi forti di inclusione delle persone disabili nella società. Tutto deve partire da noi disabili perché nessuno ci regalerà mai nulla. Dobbiamo lottare noi per garantire anche a donne e uomini diversamente abili i diritti validi per tutti”.
Laura si dice “orgogliosa di aver rappresentato l’Italia”. Ma sottolinea “quanto il nostro Paese sia molto indietro nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone con disabilità”. Parlando con altre concorrenti, aggiunge, ha avuto la conferma di quanta strada ci sia ancora da percorrere su tanti temi. Uno su tutti: “Le barriere architettoniche che impediscono di vivere liberamente e avere le stesse possibilità rispetto ai normodotati. L’unica cosa che mi fa sentire diversa dagli altri sono proprio le barriere architettoniche perché non posso eliminarle, su queste non posso farci nulla e questo mi fa stare male”.
E la causa non è la sedia a rotelle. Anzi, Laura rovescia la prospettiva: “Odio quando si riferiscono a me dicendo ‘costretta su una carrozzina’ è una cosa che non sopporto proprio. La carrozzina è la mia migliore amica e la mia compagna di viaggio. Grazie a lei ho l’indipendenza che altrimenti non avrei, cosa c’è dì costrittivo in questo?”. Più precisamente, “i limiti che per primi devono essere eliminati sono i nostri limiti mentali e poter così iniziare a vivere una vita piena”.
Resta poi da superare altre barriere, meno visibili: “Possiamo fare qualcosa noi stessi per spiegare alla gente cosa voglia dire avere una disabilità oggi. Ci sono troppi pregiudizi in giro e in Italia, come altrove, è ancora molto marcata la sensazione di pietismo e di rassegnazione. Spero che la mia partecipazione a questo concorso possa essere da esempio per tante altre ragazze che magari si sentono inferiori solo per il fatto di vivere su una carrozzina. Dopo il concorso molte donne mi hanno contattato e mi hanno scritto messaggi riguardo ai loro problemi. A tutte loro voglio dire di essere forti e che tutte noi dobbiamo impegnarci per avere gli stessi diritti degli altri. Dobbiamo batterci in prima persona se vogliamo che le cose cambino davvero”.