Ora l’attenzione del governo si sposta sugli attori internazionali ritenuti colpevoli di supporto ai manifestanti. Domenica i Guardiani della Rivoluzione hanno puntato il dito contro "Stati Uniti, Regno Unito, regime sionista, Arabia Saudita, ipocriti (intendendo le fazioni islamiste oppositrici, in particolar modo gruppi alleati dell'Isis) e i monarchici (i sostenitori dello Shah)"
Sono già più di mille, secondo le stime del governo, le persone che si stanno “bruciando le dita”, come aveva promesso l’esecutivo iraniano poche ore dopo lo scoppio delle manifestazioni di piazza. Migliaia di persone finite nelle carceri degli ayatollah con l’accusa di aver fomentato e condotto le proteste contro la Repubblica Islamica dell’Iran. E tra i primi obiettivi delle purghe spunta un nome altisonante, quello di Mahmud Ahmadinejad, l’ex presidente indicato da subito come colui che controllava il timone delle manifestazioni nate, secondo l’esecutivo, in ambienti conservatori appoggiati da potenze straniere. Secondo quanto riportato da alcuni media arabi non ancora smentiti dal governo di Hassan Rohani, l’ex leader conservatore sarebbe stato fermato dai Guardiani della Rivoluzione a Shiraz con l’accusa di “incitamento alla rivolta” e, dopo qualche ora di fermo, relegato agli arresti domiciliari. Adesso, l’attenzione di Teheran si è spostata contro quelli che considerano gli altri sostenitori della rivolta: Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele, Arabia Saudita e altri oppositori interni.
Fin da subito era chiaro che la vendetta del governo sciita sarebbe arrivata e non avrebbe fatto sconti a chi ha osato schierarsi contro la Repubblica Islamica. Lo aveva promesso il vice-presidente Eshaq Jahangiri quando ha dichiarato che “chi sta dietro questi episodi si brucerà le dita” e lo avevano ribadito anche membri del Majles, l’Assemblea Consultiva Islamica, parlando di “arresti preventivi”, tra cui quelli di un centinaio di studenti universitari, mentre il tragicamente famoso carcere di Evin si sarebbe attrezzato per accogliere l’arrivo di nuovi prigionieri.
Gli uomini di Rohani hanno subito indicato Ahmadinejad, anche se in maniera non esplicita, come colui che avrebbe pilotato le masse che hanno manifestato in diverse aree del Paese attraverso siti e profili social a lui direttamente collegati. Un vero tracollo nell’arco di pochi giorni quello toccato all’ex sindaco di Teheran che aveva deciso di ricandidarsi alle presidenziali del 2021 forte, si diceva, anche dell’endorsement della Guida Suprema, Ali Khamenei. Un sostegno importante a quattro anni dalle elezioni che ha permesso all’ex presidente di iniziare una campagna mediatica contro l’esecutivo che, però, gli si è rivoltata contro.
Le proteste non si sono concentrate solo su Rohani, i suoi ministri e i rappresentanti moderato-riformisti, ma hanno raggiunto anche le guide religiose e spirituali del Paese, compreso l’ayatollah Khamenei. Origine della rottura è stata una dichiarazione rilasciata dallo stesso Ahmadinejad durante una visita a Bushehr, città affacciata sul Golfo Persico: “Alcuni tra gli attuali leader – ha detto – vivono separati dai problemi e dalle preoccupazioni della gente e non sanno nulla della realtà sociale”. Parole che non sono piaciute alla Guida Suprema, sentitasi tirata in ballo dal politico conservatore, e che avrebbero messo fine al sostegno di Khamenei e, probabilmente, permesso l’arresto di Ahmadinejad.
Se sul fronte interno le purghe contro l’ala conservatrice più estrema sono già iniziate, l’attenzione del governo e dei Pasdaran si sta spostando sugli attori internazionali ritenuti colpevoli di supporto ai manifestanti. Domenica, in un comunicato apparso sul proprio sito di riferimento Sepah News, i Guardiani della Rivoluzione hanno dichiarato che “il popolo rivoluzionario dell’Iran, con l’aiuto di decine di migliaia di Basij (corpo paramilitare legato ai Pasdaran, ndr), della polizia e del ministro dell’Intelligence hanno spezzato la catena di proteste che era stata creata da Stati Uniti, Gran Bretagna, regime sionista, Arabia Saudita, ipocriti (intendendo le fazioni islamiste oppositrici, in particolar modo gruppi vicini o alleati dello Stato Islamico che ha ufficialmente appoggiato la rivolta sui suoi canali d propaganda, ndr) e i monarchici (i sostenitori dello Shah, ndr)”.
Gli stessi attori indicati dalle Guardie Rivoluzionarie sarebbero stati oggetto, secondo indiscrezioni, anche della discussione straordinaria a porte chiuse del Parlamento iraniano sulle cause e conseguenze delle ultime proteste. Il capo della Cia, Mike Pompeo, ha però rimandato le accuse al mittente: “E’ falso, è stato il popolo iraniano. Esso le ha create (le proteste, ndr), esso le ha lanciate, esso le ha continuate per chiedere migliori condizioni di vita e rompere con il regime teocratico sotto il quale vive dal 1979 – ha dichiarato a Fox News – penso che continueremo a vedere il popolo iraniano protestare”.
Le manifestazioni, però, hanno lasciato un segno indelebile sulla condizione del regime e sul futuro politico del Paese. “Ci siamo accorti – sostiene Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri) dell’Università Cattolica di Milano – che nel Paese è presente un malcontento più grande e meno silenzioso di quello che riuscivamo a percepire. L’arresto di Ahmadinejad e la repressione nei confronti dell’ala conservatrice ci hanno mostrato una frattura tra questa precisa fazione politica e i vertici del regime. Ma a una situazione di instabilità interna la Repubblica Islamica ha risposto con un messaggio altrettanto forte: ha dimostrato che i veri guardiani dello status quo sono i Pasdaran che, dal momento in cui entrano in gioco, riescono a reprimere qualsiasi manifestazione di opposizione. Sono i veri guardiani della rivoluzione, di nome e di fatto”.
Per i governi e l’opinione pubblica internazionale, preso atto del malessere, dello scontro interno e della capacità repressiva del regime, secondo il docente la situazione non cambia molto: “Agli occhi delle potenze mondiali, la Repubblica Islamica e soprattutto i Pasdaran, che sono i veri detentori del potere decisionale in campo internazionale, hanno dimostrato, nonostante un’inaspettata opposizione interna, di riuscire a mantenere la stabilità del Paese. Credo che anche agli occhi dell’opinione pubblica la considerazione del regime degli ayatollah sia rimasta invariata: non sono mai stati un nostro alleato e credo che solo un ottuso potesse, dopo l’ascesa di Rohani, considerare l’Iran come una Repubblica liberale e democratica nonostante i numeri riguardanti le esecuzioni capitali e le persecuzioni ai danni, ad esempio, di omosessuali o oppositori del regime”.