«Se vuoi capire lo stato di salute di un tizio, fruga nella sua spazzatura» aveva detto una volta Nick con un lampo di genio di cui si era molto compiaciuto. Non parlava tanto di salute fisica, che i rifiuti pure segnalano se li interroghi con cura, quanto di prosperità, perché il pattume è la migliore spia della congiuntura economica nella civiltà dei consumi.

Se questo è solo un racconto di fantasia, tratto da un romanzo, nessuno può negare che i rifiuti urbani siano un indicatore universale di benessere; e non solo. Se un abitante del pianeta produce in media 1,2 chilogrammi di rifiuti al giorno, uno svizzero ne fa 2,61 e uno statunitense 2,58; l’italiano 2,36, ma un africano non arriva a 0,65. L’edizione 2017 del Rapporto Rifiuti Urbani di Ispra è quindi un documento interessante per capire il nostro stato di salute e meriterebbe una certa attenzione, anche maggiore di quella dedicata ai sacchetti biodegradabili a pagamento, magari tessuti con lana caprina.

Nel 2016, per la prima volta dall’inizio della crisi economica, la produzione di rifiuti urbani in Italia è cresciuta in modo significativo, dopo cinque anni di progressiva riduzione. Gli italiani, che ancora nel 2010 producevano più di 32 milioni di tonnellate di spazzatura, negli ultimi anni erano scesi sotto ai 30; nel 2016, però, hanno invertito la tendenza, superando la soglia, seppur di poco: 30,1 milioni. Quasi 500 chilogrammi pro capite all’anno, una quota che nei primi dieci anni del secolo superavamo di slancio.

Il Rapporto di Ispra riporta molte considerazioni interessanti. La raccolta differenziata è raddoppiata in dieci anni: dal 25,8% del 2006 è balzata al 52,5% nel 2016, con un miglioramento del 5% rispetto all’anno precedente, anche se siamo tuttora in ritardo rispetto all’obiettivo del 65% che fu fissato per il 2012, l’anno della fine del mondo secondo la profezia dei Maya. Le differenze tra nord e sud e tra una regione e l’altra sono ancora notevoli. Merito del Nord se diminuiscono i rifiuti smaltiti in discarica nel 2016: 5% in meno rispetto al 2015, ma il nord fa -13% (Fig.2). Non bisogna però dimenticare che il sud ne produce 450 chili a testa, mentre il nord ne fa ben 510, il 13% in più. E la Liguria, come sempre, è il profondo sud del nord (Fig.3).

La scarsa dotazione impiantistica fa sì che, in molti contesti territoriali, si trasferiscano i rifiuti in altre regioni o all’estero. Esportiamo più di quanto importiamo: l’export (433mila tonnellate) è il doppio dell’import. Le cose cambiano per i rifiuti speciali, ai quali Ispra dedica un rapporto specifico con i dati del 2015. Ne esportiamo 3,1 milioni di tonnellate, il 69% non pericolosi e il restante 31% pericolosi. Ne importiamo molti di più: 5,7 milioni di tonnellate e quasi tutti non sono pericolosi, giacché solo il 2% sono classificati come pericolosi. Siano un popolo che evita il rischio, poiché non ha ancora stabilito dove depositare i rifiuti radioattivi. Gente che qualche volta cede alla tentazione di nasconderli sotto lo zerbino.

Lo studio di Ispra sui 223 Comuni che applicano il regime di Tariffazione Puntuale (Pay-As-You-Throw) mostra come, nei comuni che adottano questo regime, il cittadino affronti un costo minore di quello che grava sulle comunità che usano la Tari (Tassa sui Rifiuti) normalizzata. Per esempio, a Trento il costo pro capite è stato, nel 2016, il più basso fra i capoluoghi di regione (153€/abitante all’anno, con una quota del 79% di differenziata). Le tasse forfettarie non incentivano a ridurre i rifiuti, poiché chi genera i rifiuti non deve affrontare costi aggiuntivi se ne produce di più. Un approccio basato sugli incentivi economici deve perciò aumentare i costi unitari e i benefici monetari per ridurre la produzione di rifiuti e aumentare il compostaggio e il riciclaggio.

Qui varrebbe seguire l’esempio del formidabile centravanti del Camerun – e miglior giocatore africano del XX secolo – Roger Milla, che nel suo paese ha lanciato un grande progetto di riciclaggio della plastica. Senza dimenticare che la rete della spesa usata dalle nonne svolgeva onorevolmente la propria funzione quando serviva. E si conservava a lungo in un angolino della borsetta o del borsello, per ogni evenienza.

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