Non risultano cali di vendite di ortofrutta nei supermercati a causa delle nuove norme sui sacchetti ortofrutticoli. E non ci sono ancora dati sui sacchetti stessi, anche se è presumibile che passando da quelli in plastica gratuiti a quelli in bioplastica a pagamento, sia pure poco più che simbolico, il numero complessivo sia calato. Come testimoniano facilmente cassieri e commessi, che prima osservavano lo spreco ( “I sacchetti per l’ortofrutta finivano spesso”). Gli ambientalisti non sono però ancora soddisfatti.

Riconosciamo che la Legge intendesse costituire una estensione ai sacchetti ultraleggeri delle previsioni già a suo tempo adottate, e con successo, per gli shopper, allo scopo di: 

estendere i principi di riduzione del ricorso alla plastica tradizionale ad altri ambiti, contigui, di intervento;

evitare fenomeni di elusione delle precedenti disposizioni, quali l’uso come shopper dei sacchetti in plastica tradizionale, codificati come “per uso interno”, allo scopo di aggirare il divieto sugli shopper od eluderne il costo; 

conseguire uniformità di approccio su tutti i sacchetti, ed evitare la contaminazione dei flussi avviati a compostaggio, fenomeno determinato proprio dalla confusione spesso ingenerata nell’utente, tra shopper e sacchetti ultraleggeri, scrive la Rete zero waste.

L’insoddisfazione ambientalista nasce dal fatto che però, al contempo, non viene consentita – per ragioni igieniche che sarebbero corroborate dallo stesso ministero della Salute – l’utilizzazione di sacchetti per l’ortofrutta usati o riusabili. A differenza di quello che succede con le buste della spesa con i manici. La prima conseguenza di questo blocco è di psicologia, di approccio.

L’imposizione del prezzo esplicito del sacchetto, che doveva funzionare da incentivo all’adozione della alternativa ambientalmente preferibile, nel momento in cui viene impedita tale alternativa, è stato percepito come una vessazione“, scrive sempre Zero Waste.

Con i collaboratori di Eco dalle Città abbiamo voluto capire quanti utenti dei supermercati siano effettivamente interessati a evitare i sacchetti usa e getta e il loro costo.  Lo abbiamo fatto verificando il passaggio precedente: ovvero quella che è già, ormai dall’estate 2014, l’alternativa praticabile, il sacchetto riutilizzabile, o addirittura il non-sacchetto, il portarsi via la spesa in carrelli o borse o zaini. Ebbene, la verifica fatta tra il 5 e il 6 gennaio presso sette supermercati tra Milano e Torino ha dato risultati sorprendenti.

Nel 65% dei casi si sono usati sacchetti riutilizzabili, o comunque non si sono acquistati i sacchetti. Segno che probabilmente si arriverebbe ad alte percentuali anche con l’ortofrutta se venissero incoraggiate le retine o simili soluzioni.

D’altro canto, l’osservazione fatta dimostra anche un’altra cosa. E cioè che soltanto introducendo un principio di pagamento, anche solo un minimo, c’è un cambiamento di abitudini. Fino a quando si regalavano i sacchetti di plastica nessuno o quasi ne evitava l’uso.

La combinazione vincente è quella di proibire i materiali più inquinanti o “petroliferi”, mettere a pagamento l’usa e getta e contemporaneamente consentire o incoraggiare alternative che non prevedano l’usa e getta. Per questo l’attenzione è adesso tutta concentrata sulla possibilità di superare i veti “igienisti” al riuso dei sacchettini per frutta e verdura.

Tutt’altra questione è quella dell’effettiva compostabilità dei sacchetti bio. Ciclicamente vengono espressi dubbi e fatte nuove ricerche. Anche le perplessità espresse dall’intervistato da Veronica Ulivieri in merito alla effettiva compostabilità dei sacchetti nei nuovi impianti anaerobici ritengo sia già superata.

Lo dimostra uno studio scientifico sul comportamento dei sacchetti biodegradabili in MATER-BI (la materia bioplastica prodotta da Novamont) secondo cui negli impianti di digestione anaerobica tedeschi “La degradazione ha avuto inizio nello stadio di anaerobiosi per concludersi in fase di compostaggio. Il processo è durato complessivamente tra le cinque e le dieci settimane, a seconda dell’impianto”.

Il Consorzio italiano compostatori scommette tranquillamente sul funzionamento dei sacchetti bio nei suoi impianti presenti e futuri. Se la preoccupazione è quella di pagare due volte per questi sacchetti, all’acquisto e allo smaltimento (come sostenuto da alcuni esperti interpellati da ilfattoquotidiano.it), beh se sostituiamo la parola compostaggio alla parola smaltimento si può dire sia scherzando che seriamente che è inevitabile.

Paghi “due volte”, cioè paghi anche (con la Tari) un contributo al compostaggio di tutto ciò che non mangi, dalla buccia di banana al sacchetto bio. Ma il costo annuale è veramente di pochi centesimi.

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