Le uccisioni dei "terroristi bengalesi", nella versione dell’esercito, sono state una rappresaglia dei militari e di buddisti locali dopo che i Rohingya avevano ucciso in un villaggio. Dalla fine di agosto, oltre 650mila esponenti della minoranza sono stati costretti a fuggire dallo Stato di Rakhine per rifugiarsi in Bangladesh
L’esercito del Myanmar ha ammesso per la prima volta di aver ucciso 10 musulmani Rohingya, i cui corpi erano stati ritrovati nel mese di dicembre in una fossa comune. L’ammissione, la prima di questo tipo dall’inizio dell’offensiva nello stato Rakhine quattro mesi fa, è arrivata mercoledì dallo stesso capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing. In un post sul suo profilo Facebook, il generale ha parlato per la prima volta di una “rappresaglia” nei confronti della minoranza.
“Alcuni abitanti del villaggio di Inn Din e alcuni membri delle forze di sicurezza hanno ammesso di aver ucciso dieci terroristi bengalesi” si legge nel post. Le uccisioni dei “terroristi bengalesi“, nella versione dell’esercito, sono state una rappresaglia dei militari e di buddisti locali dopo che i Rohingya avevano ucciso dei buddisti in un villaggio. “L’incidente è avvenuto perché i residenti erano stati minacciati e provocati dai terroristi”, conclude il comunicato. Il messaggio dell’esercito birmano definisce i membri della minoranza proprio con il termine dispregiativo spesso usato nei loro confronti.
Un’ammissione che si limita ad un solo episodio di violenza ma che, di fatto, apre ad un riconoscimento di tutta l’offensiva condotta nei confronti dei Rohingya, definita dall’Onu “un esempio da manuale di pulizia etnica“. Accuse che però le autorità birmane hanno sempre negato. Dalla fine di agosto, oltre 650mila Rohingya sono fuggiti dallo Stato birmano di Rakhine rifugiandosi in Bangladesh e portando con sé innumerevoli testimonianze di uccisioni, abusi sessuali, roghi appiccati a interi villaggi. Fino ad oggi, l’esercito aveva sempre sostenuto di non aver ucciso nessun Rohingya. Il mese scorso, l’organizzazione Medici senza frontiere ha invece stimato in almeno 6.700 le vittime in quattro mesi.
Nello stesso giorno in cui l’esercito ammette una parte delle sue colpe, l’Unicef ha diffuso i dati sugli effetti di queste rappresaglie sui minori. Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia stima che “dall’inizio delle violenze nello stato di Rakhine, in Myanmar, ad agosto, 655 mila persone, la maggior parte delle quali Rohingya, hanno attraversato il confine settentrionale verso il Bangladesh, mentre nella zona centrale dello stato di Rakhine oltre 120 mila sono rimasti bloccati dal 2012 in squallidi campi profughi, e ulteriori 200 mila vivono in villaggi in cui la loro libertà di movimento e l’accesso ai servizi di base sono sempre più limitati. In tutto questo, più di 60 mila bambini sono dimenticati nel Rakhine” si legge nella nota.