Il giudice distrettuale William Alsup ha bloccato a livello nazionale il provvedimento voluto da Donald Trump contro i Dreamer, le 800.000 persone arrivate negli Stati Uniti da bambini con genitori immigrati illegali. Il magistrato di San Francisco ha accolto la richiesta di fermare l’ordine di Trump sulla fine del Deferred Action for Childhood Arrivals almeno fino a quando le varie cause avviate non saranno risolte. La decisione rappresenta un nuovo schiaffo al presidente americano sul fronte dell’immigrazione, lasciando di fatto in vigore le norme dell’era Obama.

Il programma, nelle intenzioni di Trump, dovrebbe chiudersi il prossimo 5 marzo. La sentenza è arrivata poche ore dopo che il presidente aveva presieduto un incontro di alto profilo a Washington con i legislatori di entrambe le parti sul destino dei cosiddetti ‘sognatori’. Alsup ha spiegato che il punto di vista del dipartimento di Giustizia, secondo cui il programma era illegale, era basato su una “premessa legale imperfetta”. A meno che il suo ordine non venga annullato da un tribunale superiore, i destinatari del Daca potranno ora presentare richieste di rinnovo dei permessi e il governo sarà tenuto a informare che il programma è ancora una volta attivo.

“Riteniamo la decisione scandalosa, soprattutto alla luce dell’incontro bipartisan di successo fra i membri della Camera e del Senato”, ha commentato Sarah Huckabbe Sanders, portavoce della Casa Bianca. Ora il nodo da sciogliere è la volontà di Trump di legare il programma sui Dreamer al muro con il Messico, al quale i democratici si oppongono. Proprio su questo argomento, l’inquilino della Casa Bianca è tornato in serata al termine dell’incontro con la premier norvegese: “Non firmerò alcun accordo sull’immigrazione senza il muro. Abbiamo bisogno del muro col Messico per la sicurezza, e la sicurezza è la priorità numero uno”.

La reazione al blocco imposto dal giudice distrettuale era stata durissima. Su Twitter , il presidente aveva definitp “il sistema giudiziario guasto e ingiusto” e attaccato i suoi “oppositori”, che si rivolgono “sempre al nono circuito e vincono quasi sempre, prima che la decisione sia ribaltata da tribunali di grado superiore”. Trump sarebbe pronto a un’ulteriore stretta sull’immigrazione. Stavolta nel mirino della Casa Bianca ci sono circa 200mila cittadini di El Salvador che da oltre dieci anni vivono negli Stati Uniti e che il Dipartimento per la sicurezza nazionale si appresta ad espellere. Si tratta di individui e famiglie sfuggiti ai due devastanti terremoti che colpirono il Paese centroamericano nel 2001 e a cui gli Usa riconobbero lo status di protezione temporanea. Una condizione sempre prorogata sia dall’amministrazione Bush che dall’amministrazione Obama. Ora il governo di Trump si appresta a porre fine a questo regime, col risultato che le persone che perderanno lo status di protezione temporanea saranno costrette a lasciare il Paese, pena il rimpatrio forzoso. A meno che nel frattempo a loro posizione non venga regolarizzata.

In particolare, i cittadini salvadoregni coinvolti avranno tempo fino al 9 settembre 2019 per lasciare gli Stati Uniti o trovare la maniera per ottenere la residenza legale. Del resto la motivazione data dal dipartimento guidato da Kirstjen Nielsen è quella che le condizioni di El Salvador sono talmente migliorate dai tempi dell’ondata sismica che sconvolse il Paese che lo status di protezione non ha più motivo di essere.

A nulla sembrano essere valse le polemiche delle associazioni per la difesa dei diritti civili, che mettono in guardia dai rischi del rientro di così tante persone in un Paese ancora segnato da violenze e caratterizzato da un’elevata instabilità politica. Oltre al problema dei circa 190mila bambini nati dai salvadoregni cui era stato riconosciuto lo status di protezione. Lo scorso novembre il programma di protezione temporanea è stato già terminato da parte dell’amministrazione Trump per 60mila haitiani colpiti dal terremoto del 2010 e per 2.500 nicaraguensi vittime dell’uragano Mitch del 1998.

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