La contraddizione in termini, contenuta nell’idea di aiutare i meno abbienti fiscalizzando l’onere di un servizio usato prevalentemente dai ricchi, come l’accesso all’università, che oggi è parzialmente a carico degli studenti, potrebbe essere tranquillamente liquidata come propaganda elettorale, seppure un po’ zoppicante sotto il profilo della logica.
Val la pena tuttavia provare a fare qualche ragionamento meno superficiale in tema di benessere collettivo.
La riforma illustrata da Pietro Grasso non è solo carente dal punto di vista dei nessi di causa-effetto, perché otterrebbe conseguenze opposte a quelle desiderate dai suoi fautori, ma pecca anche di ingenuità, assumendo che l’unico ostacolo all’accesso all’istruzione universitaria consista nel pagamento della retta, laddove è abbastanza evidente che l’onere più rilevante della frequenza universitaria consiste invece nel mancato reddito da lavoro del periodo in questione. Ne consegue quindi una conclusione a dir poco rocambolesca ossia che la mera eliminazione delle rette universitarie possa incentivare l’affluenza negli atenei (lasciando perdere la questione che questo sia o meno un obbiettivo desiderabile).
Proviamo a fare un passo indietro e a inquadrare la questione in termini di benessere collettivo e distinguiamo tra competenze di base e competenze avanzate. Le prime servono a comprendere la realtà che ci circonda, consentendoci di esprimere a ragion veduta i nostri diritti politici e di evitare le truffe e i raggiri meno sofisticati, una volta si limitavano a leggere, scrivere e far di conto e oggi potrebbero includere nozioni di statistica, calcolo attuariale oltre alla abilità di discernere le fonti attendibili su Internet.
Le seconde, tra le quali rientrano quelle acquisite mediante studi universitari, hanno invece la funzione di rendere possibile l’esercizio di alcuni lavori o professioni, oppure di consentire lo svolgimento di attività di tipo edonistico (es comprensione e valutazione di opere d’arte per finalità ludiche etc).
Come si può comprendere facilmente, mentre è chiaro che le competenze di base costituiscano un bene meritorio, che andrebbe garantito a tutti e per il quale esiste un interesse collettivo alla maggiore diffusione possibile, per le competenze avanzate il discorso è differente: si tratta in primo luogo di una scelta personale (non tutti necessariamente vogliono svolgere studi avanzati) e, dunque, non è affatto detto che far crescere il numero dei soggetti che vanno all’università costituisca un obbiettivo desiderabile per la collettività soprattutto senza entrare nel merito della qualità e tipologia degli studi universitari.
Dal momento che è troppo complesso quantificare il beneficio apportato alla collettività dall’avere un medico in più o un ingegnere in meno, l’unico profilo che può rilevare in termini collettivi riguarda il cosiddetto “ascensore sociale” ovvero la possibilità per tutti gli individui di migliorare la propria condizione economica.
Nella misura in cui gli studi universitari consentono di accedere a professioni più qualificate e redditi più elevati dovrebbe essere auspicabile rimuovere gli ostacoli di carattere materiale che impediscono a chi lo desidera di accedere a questo tipo di istruzione. In quest’ottica sono ampiamente già ampiamente presenti (laddove ovviamente l’università non è gratuita) in tutti i paesi sviluppati esenzioni dalle rette universitarie e agevolazioni per gli studenti provenienti da famiglie a basso reddito oppure che affiancano il lavoro agli studi.
Messa in questi termini la questione è ben più articolata di quanto si possa affrontare esentando o meno dal pagamento delle rette universitarie coloro i quali oggi vi sono soggetti: occorre concentrarsi sugli anni precedenti per consolidare la formazione ricevuta durante la scuola dell’obbligo, in modo che al momento di valutare se e quali studi universitari intraprendere la scelta sia fatta in modo informato e consapevole e, l’aspirante studente disponga degli strumenti necessari, sia in termini di nozioni di base che di metodo di studio per affrontare i corsi universitari con profitto. Inoltre, per rimuovere veramente gli ostacoli economici non è sufficiente l’esenzione dalle rette, ma occorre intervenire con trasferimenti che possano compensare il costo opportunità di un eventuale lavoro alternativo e le spese di sostentamento presso le sedi universitarie: detti trasferimenti potrebbero assumere la forma di borse di studio per i più meritevoli o di “prestiti a lungo termine” per tutti gli altri. Che questo discorso possa valere per tutti i corsi di studio, a prescindere dal carattere scientifico o umanistico oppure solo per alcuni, ritenuti più utili o meritevoli è una scelta di tipo politico e culturale che non rileva in questa sede.
Ragionando fuori dalla propaganda politica, tesa ad acchiappare voti in vista delle elezioni, quello che è veramente rilevante per il progresso della società e il benessere di tutti è che una solida ed estesa formazione di base sia garantita a tutti i cittadini e che esistano ampi sussidi e incentivi per fare in modo il più ampio numero di persone possa comprendere correttamente quanto avviene nel mondo che lo circonda. Con riferimento alla formazione successiva, nella misura in cui essa possa assolvere alla funzione di “ascensore sociale” val la pena che venga promossa solo nei confronti di chi denota una adeguata motivazione e capacità sufficienti a mettere a frutto il supporto ricevuto: fuori da questi ambiti “farsi una cultura” costituisce un consumo di lusso per il quale ognuno dovrebbe provvedere da se, senza gravare sulla collettività.