A due giorni dell'annuncio della sua non ricandidatura al Pirellone, il governatore lombardo Maroni parla con Il Foglio e attacca il segretario del Carroccio: "Il mio addio? Incompatibilità con lui. La politica non è solo marketing. Io bersaglio mediatico perché per qualcuno sarei un rischio"
Dispiaciuto. Arrabbiato. Ufficialmente fuori dai giochi per sua volontà, ma per molti – specie tra i suoi colleghi di partito – pronto al grande salto. A due giorni dell’annuncio della sua non ricandidatura al Pirellone, Roberto Maroni parla con Il Foglio e non le manda a dire. Obiettivo del suo attacco? Il segretario del Carroccio Matteo Salvini. “Io sono una persona leale. Sosterrò il segretario del mio partito. Lo sosterrò come candidato premier. Ma da leninista, non posso sopportare di essere trattato con metodi stalinisti e di diventare un bersaglio mediatico solo perché a detta di qualcuno potrei essere un rischio” dice il governatore della Lombardia. A cui il leader del Carroccio risponde indirettamente sui suoi profili social: “Preferisco usare il mio (e vostro) tempo per lavorare e costruire, non per litigare o rispondere agli insulti” dice Salvini, secondo cui “o l’Italia riparte in fretta, e io ci credo, o sarà tardi. Le polemiche – aggiunge – le lascio agli altri. Scusatemi, mi conoscete, sono fatto così”.
Ma di quale rischio parla l’ex Maroni? Nel centrodestra, in molti hanno visto il passo indietro dell’ex ministro nell’ottica di un possibile suo impegno come premier di un governo di coalizione da far nascere dopo le elezioni. Da qui, spiega Maroni, l’attacco di Salvini (“Che è stato il primo, mesi fa, a sapere della mia intenzione di non candidarmi”) nei suoi confronti. “Consiglierei al mio segretario – continua il presidente lombardo – non solo di ricordare che fine ha fatto Stalin e che fine ha fatto Lenin, ma anche di rileggersi un vecchio testo di Lenin. Ricordate? L’estremismo – dice – è la malattia infantile del comunismo. Se solo volessimo aggiornarlo ai nostri giorni dovremmo dire che l’estremismo è la malattia infantile della politica”.
Maroni, per questo motivo, si dice “dispiaciuto” delle dichiarazioni “sprezzanti e sorprendenti che ho sentito nei miei confronti”. In questi giorni “sono stato massacrato dai miei compagni di squadra, che hanno scelto di dare alla mia vita nuova un’interpretazione del tutto arbitraria, mentre sono stato ricoperto di affetto e amicizia da un mondo politico lontano da me, e questo mi ha colpito”. Per esempio c’è stato un sms di Matteo Renzi e tanti altri, tra cui una telefonata che “mi ha fatto particolarmente piacere: quella di Giorgio Napolitano“. Ma la nota dolente è sempre Salvini: “Il mio addio? Incompatibilità con lui – aggiunge – La politica non è solo marketing”. E sul suo futuro? Il Foglio avanza l’ipotesi che fra i tratti di incompatibilità culturale tra Maroni e il suo segretario vi è anche un’idea diversa del rapporto che deve avere la politica con la giustizia: “Possiamo dirlo – conferma il governatore – È così. È questo uno dei tanti motivi che mi hanno spinto a ragionare su un futuro diverso, lontano da un modo di fare politica che capisco ma che, le dico la verità, proprio non mi appartiene”.