“Erano diversi i canali di comunicazione tra Riina-Dell’Utri-Berlusconi. È lo stesso Riina che lo racconta mentre è intercettato in carcere senza sapere di essere ascoltato”. È uno dei primi passaggi della requisitoria del pm Nino Di Matteo al processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Il magistrato recita alcune delle frasi intercettate in carcere al capomafia: “Ma noi altri abbiamo bisogno di Giovanni Brusca per cercare Dell’Utri? Questo Dell’Utri è una persona seria…”, diceva Riina al codetenuto Alberto Lorusso. E ancora: “…Berlusconi in qualche modo mi cercava… si era messo a cercarmi… mi ha mandato a questo… Gli abbiamo fatto cadere le antenne – diceva Riina in un’altra intercettazione del 2013 – e non lo abbiamo fatto più trasmettere”. Le intercettazioni del capomafia di Corleone, morto lo scorso novembre, sono state lette in aula dal pm. “Nei dialoghi intercettati in carcere – dice il magistrato – Riina più volte parla dei canali tramite i quali avrebbe potuto contattare Dell’Utri“, l’ex senatore imputato nel processo per minaccia a corpo politico dello Stato e detenuto perché condannato per concorso in associazione mafiosa. Non solo. Secondo Di Matteo “Riina dimostra di essere consapevole dei rapporti che i fratelli Graviano avevano per i loro canali con l’imprenditore e poi politico Berlusconi. Alterna momenti di sincera confidenza con dei momenti in cui invece assume ufficialmente la parte di chi non sa nulla”. Proprio in una controversa intercettazione, pubblicata in esclusiva da Sekret, Giuseppe Graviano, parla riguardo alle stragi mafiose di un favore chiesto a Graviano da ‘Berlusca’ secondo l’interpretazione delle parole data dai periti di pm e giudice.
Pm: “Riina non consapevole di essere intercettato”
Secondo la procura di Palermo comunque Riina “non era consapevole di essere intercettato nello spazio esterno del carcere” in cui era detenuto. “Se fosse stato consapevole o avesse avuto un sospetto serio, non avrebbe parlato così a lungo e approfonditamente di quasi tutti gli omicidi di cui si è reso protagonista e non si sarebbe vantato, con profili di autoesaltazione che stridono con la purezza del racconto delle stragi e di omicidi eccellenti. Inoltre, non avrebbe parlato tante volte dei suoi congiunti, della moglie e dei figli” ha proseguito Di Matteo nell’udienza in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. Una replica a distanza a chi sostiene da tempo che il capomafia di Corleone “sapeva di essere intercettato in carcere”. Le intercettazioni a cui fa riferimento il pm della Dna sono quelle del 2013 tra Totò Riina e il codetenuto Alberto Lorusso, che sembrava il depositario degli sfoghi e dei propositi di morte del boss.
L’odio per i magistrati Chinnici, Falcone e Borsellino
In quelle lunghe ore di conversazioni, tutte registrate dalle cimici del carcere, Riina aveva parlato degli anni Ottanta e inizio Novanta, e del suo odio contro i magistrati, da Rocco Chinnici a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fino allo stesso Nino Di Matteo e gli altri pm antimafia. E quasi si lamentava, Riina, che gli affiliati a Cosa nostra ancora liberi avessero seguito la strategia dell’inabbissamento: “Mi viene una rabbia a me… ma perché questa popolazione non vuole ammazzare a nessun magistrato?”, diceva a Lorusso. “Se avesse saputo di essere intercettato – prosegue il pm Di Matteo – Riina non avrebbe parlato così approfonditamente di suo nipote Giovanni Grizzafi e delle aspettative che nutriva rispetto alla prossima scarcerazione di Grizzafi che gli avrebbe permesso di tessere le fila di tante situazioni. Se avesse avuto un serio sospetto di essere intercettato nello spazio esterno non avrebbe mai parlato di beni patrimoniali riconducibili alla sua famiglia. In alcuni momenti delle conversazioni con Lorusso parla di beni che ha nella disponibilità di cui nessuno aveva sospettato”. “Inoltre – dice ancora il pm Di Matteo – Riina non avrebbe sollecitato l’eliminazione di uno dei pm del processo”, facendo riferimento a lui stesso, nel mirino del capomafia Riina. Parlando del magistrato, Riina aveva detto nelle intercettazioni: “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono… Ancora ci insisti? Perché, me lo sono tolto il vizio? Inizierei domani mattina… Minchia ho una rabbia… Sono un uomo e so quello che devo fare, pure che ho cento anni”. Il nome del pm venne fuori anche in riferimento alle polemiche seguite alla citazione come testimone dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano (‘Questo Di Matteo, questo disonorato, questo prende pure il presidente della Repubblicà), a cui Riina immagina di fargli fare la fine del procuratore Scaglione, assassinato nel 1971: “A questo ci finisce lo stesso”. Nelle intercettazioni Riina parlava anche della strage di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone, sua moglie Francesca e tre agenti di scorta. Per Riina fu “una mangiata di pasta”.
“Riina disse che fu lo stato a cercarlo”
Nel 1992, secondo la procura, non sarebbe stato il boss mafioso a volere avviare una trattativa con pezzi dello Stato. Ma sarebbero stati esponenti delle Istituzioni a volere dare vita a un accordo per fare cessare le stragi mafiose. Di Matteo, durante la requisitoria, ha letto la relazione fatta nel 2013 da due assistenti penitenziari del carcere di Opera a Milano sulle parole pronunciate dal boss Riina. Riina disse “Non mi hanno arrestato i Carabinieri ma Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano – dice il magistrato – E lo stesso Riina ha poi sottolineato, come emerge dalla relazione dei due assistenti penitenziari: ‘Non ero io a cercare loro per trattare con loro ma era loro che cercavano me per trattare, io non cercavo nessuno‘”. Secondo il pm Di Matteo un “riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Cancemi e Brusca” ma anche del “dichiarante Massimo Ciancimino“, quest’ultimo imputato nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa.
Comunque Riina “è stato il principale ideatore e artefice ed esecutore di quel vero e proprio ricatto allo Stato condotto a suon di bombe ed omicidi eccellenti. Successivamente c’è stata una evoluzione della trattativa – dice ancora il magistrato – con la individuazione, sotto l’aspetto del terminale mafioso, di Provenzano, a partire da una certa data in poi, quale soggetto mafioso più affidabile per trattare”.