Con grande probabilità, il blocco dei trasporti romani evocato dall’assessora Linda Meleo non si verificherà. Almeno a fine gennaio, come paventato. Tuttavia, il gruppo di lavoro sulla richiesta di concordato preventivo di Atac sta già lavorando ai possibili rilievi che i giudici del tribunale fallimentare di Roma potrebbero presentare riguardo al piano industriale che dovrà essere consegnato entro il 26 gennaio. A quanto apprende ilfattoquotidiano.it, i vertici capitolini si aspettano richieste di correttivi in merito al costo del lavoro dell’azienda, ancora troppo elevato rispetto ai livelli di produttività raggiunti grazie al sofferto accordo con i sindacati sottoscritto nel corso delle ultime settimane. Nel mirino, i circa 1.200 impiegati – su oltre 11mila dipendenti – che si portano via una buona fetta dei quasi 539 milioni annui spesi per il personale. E questo a prescindere dalla ratifica da parte della Commissione capitolina Mobilità – pre-requisito fondamentale prima dell’arrivo in Assemblea Capitolina – della delibera per il prolungamento al 2021 del contratto di servizio fra Campidoglio e Atac già varato dalla Giunta capitolina, provvedimento che la commissione sta ancora cercando di digerire a causa dei dubbi dei consiglieri generati dai pareri discordanti dei tecnici di Palazzo Senatorio e dalla bocciatura del provvedimento da parte dell’Antitrust avvenuta il 31 ottobre scorso.
GLI SPETTRI: ESUBERI E AUMENTO DEL BIGLIETTO – Il dato che preoccupa il gruppo di lavoro capitolino – che si avvale della consulenza dell’advisor finanziario Ernst & Young – è la differenza fra il valore della produzione e i costi della produzione, che nel bilancio 2016 ha superato quota 200 milioni di euro. Un dato, quello dei costi, su cui pesa quello per gli stipendi dei lavoratori, ben 538 milioni sui 1.133 milioni complessivi. Nell’estremo tentativo di non intaccare i livelli occupazionali e non godendo della liquidità necessaria per rinnovare in un colpo solo un parte sensibile della (vetusta) flotta aziendale, per provare a invertire la tendenza i vertici Atac hanno studiato un nuovo accordo con i dipendenti che li portasse ad incrementare la produzione, aumentando le ore guidate ad autisti e macchinisti, rivedendo l’orario settimanale nel settore manutenzioni e prevedendo turnazioni fra gli amministrativi in ruoli “operativi” come quelli della verifica dei titoli dei viaggio o dell’affiancamento al personale di stazione. Un accordo con le sigle sindacali molto sofferto, tale da generare parecchi mal di pancia fra i lavoratori ma che potrebbe anche non essere sufficiente. Che fare in caso di parziale bocciatura? In Campidoglio si sta già lavorando a un piano B. Quello più doloroso porterebbe a rimettere in moto la procedura di licenziamento collettivo (legge 223 del 1991) già tentata nel 2014 da Ignazio Marino, per smaltire in qualche modo gli oltre 350 esuberi amministrativi individuati da una ricognizione voluta dall’ex amministratore unico Manuel Fantasia: mobilità interna, mobilità infragruppo, part-time con diminuzione dello stipendio o, nel peggiore dei casi, licenziamento. In teoria, suggeriscono fonti vicine ai vertici capitolini, questi provvedimenti potrebbero essere mitigati da un aumento del prezzo del biglietto (da 1.50 a 2 euro) – che va richiesto alla Regione Lazio – difficile da far digerire alla cittadinanza, ma pur sempre una eventualità in campo. Ovviamente, l’auspicio è quello di avere subito una risposta affermativa del tribunale e dunque di procedere senza rischiare di intaccare i livelli occupazionali.
IL PIANO INDUSTRIALE E I DUBBI SUL CONTRATTO – Non ci sono dubbi che entro la data stabilita il gruppo di lavoro consegnerà presso gli uffici del tribunale il piano industriale indispensabile per far andare avanti il concordato. Al suo interno la vendita degli immobili per 100 milioni di euro, lotta all’evasione tariffaria attraverso l’introduzione dei ticket elettronici, investimenti pubblici per il parziale rinnovo della flotta. A quel punto vi saranno tre opzioni: i giudici potranno ritenere che il piano presentato non rispetti le condizioni di legge e concedere un termine al debitore non superiore a 15 giorni per integrarlo e produrre nuovi documenti; dichiarare inammissibile la proposta di concordato (e solo su richiesta del creditore o del pubblico ministero, sempre che ne esistano i presupposti, dichiarare il fallimento dell’azienda) oppure ammetterlo al concordato con decreto e dichiarare aperta la procedura. Non solo: il termine ultimo del 26 gennaio potrebbe slittare di altri 60 giorni (dunque fino a dopo le elezioni). Dunque, viene ritenuto molto difficile un “blocco dei trasporti da fine mese”, come dichiarato da Linda Meleo (affermazione poi corretta nelle ore successive) durante l’ultima seduta della Commissione Trasporti, nel tentativo di accelerare le tempistiche politiche per la ratifica dell’affidamento in house del servizio di tpl fino al 2021, provvedimento già in parte censurato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (ma previsto dalle normative comunitarie per i grandi centri metropolitani).