Trentadue richiedenti asilo erano ospitati nel borgo di 544 abitanti in provincia di Campobasso. Decine di persone in strada e oltre 150 firme contro la decisione, ma il prefetto non cambia idea: il Cas è stato chiuso giovedì. Il parroco: "I nostri concittadini hanno iniziato a interagire con questi ragazzi stabilendo ottimi rapporti"
A Goro fecero le barricate perché quelle 12 donne e 8 bambini proprio non li volevano. A Lesignano de’ Bagni, vicino a Parma, a novembre hanno incendiato una struttura appena ristrutturata: doveva ospitare otto richiedenti asilo e sulle colline parmensi qualcuno aveva deciso che non dovevano neanche arrivarci. A San Michele Tiorre, in cinquanta accerchiarono e insultarono una donna che aveva affittato la sua villetta a una cooperativa per accogliere venti migranti. Le sputarono addosso e la bloccarono nella sua automobile, intimandole di stracciare il contratto. Adesso a scendere in piazza e a firmare petizioni sono i cittadini di Ripabottoni.
I 544 abitanti di questo borgo molisano arroccato sulle alture della provincia di Campobasso ce l’hanno con il sindaco e la prefettura. Ma la storia è rovesciata, capovolta. Sono arrabbiati perché i richiedenti asilo se ne vanno, lasciano le stradine del comune dove finora sono stati ospitati nel centro di accoglienza straordinaria Xenia. A decine hanno manifestato per fermare il trasferimento dei 32 giovani, in più di 150 hanno firmato una petizione indirizzato alla prefettura perché tornasse sui suoi passi, lasciando i migranti in paese. Ma i due cittadini delegati alla consegna, come raccontano a Primonumero.it, non sono stati nemmeno ricevuti dal prefetto Federico Maria Guia: “È inconcepibile – dicono – che la Prefettura di Campobasso non abbia preso in considerazione le 152 firme. Ci hanno detto che non avevamo un appuntamento e ci hanno mandato via. È mai possibile che non si possa avere un incontro su una situazione tanto importante?”.
Così la palazzina che ospitava i ragazzi è stata chiusa giovedì pomeriggio, dopo che l’ultimo gruppetto è stato trasferito tra i comuni di Petacciato, Montecilfone, Portocannone e Roccavivara. Paesi distanti anche un’ora e più tra loro. Abbastanza da smembrare quella comunità che nell’ultimo anno si è incontrata, è cresciuta e voleva rimanere insieme. Se la prendono con il sindaco Orazio Civetta, assente in questi giorni e considerato il deus ex machina dell’allontanamento. Sul territorio di Ripabottoni, infatti, oltre al Cas c’è anche uno Sprar e pare che il primo cittadino ritenesse le due strutture incompatibili. Insomma, un po’ troppo per il suo comune. Le sue “pressioni”, come le chiama il presidente della fondazione proprietaria dell’edificio che ospitava il centro per i richiedenti asilo, avrebbero “accelerato la procedura”.
Eppure quei migranti erano integrati con gli abitanti di Ripabottoni. Don Gabriele Tamilia, parroco del paese molisano, ha fatto stampare e diffondere un volantino: “I nostri concittadini hanno iniziato a interagire con questi ragazzi stabilendo ottimi rapporti con loro. Le nostre due comunità cristiane, cattolica e protestante, li hanno inseriti nelle rispettive attività – ha scritto – Tante persone si sono attivate in diverse forme di aiuto. Diciamo allo Stato che l’economia non deve travalicare il bene della persona. Questi ragazzi non sono pacchi postali“. Su Facebook si leggono decine di messaggi di arrivederci da parte dei migranti e dei cittadini. E qualcuno ricordando come l’integrazione “effettiva” di Ripabottoni – oltre a lasciare disoccupati 15 cittadini che nella struttura lavoravano – era un esempio da studiare, non da stroncare, propone un “ironico brindisi all’ingiustizia”.