Premessa: in base agli ultimi dati Istat, in Italia i poveri assoluti sono 4,7 milioni. Sono le persone che non possono permettersi un paniere di beni e servizi essenziali per uno standard di vita accettabile. Fino all’anno scorso, la Penisola era l’unico Paese europeo insieme alla Grecia a non essersi dotato di una misura universale per assisterli. C’erano, certo, gli assegni familiari e le pensioni sociali, ma sono interventi selettivi, per singole categorie. Per questo nel 2016 il governo Renzi ha varato un ddl che prevedeva l’attivazione graduale di un sussidio nazionale unico. Dopo la fase sperimentale, nell’ottobre 2017 il Reddito di inclusione è diventato legge e dall’1 dicembre è possibile fare domanda. Si può ricevere per non più di un anno e mezzo ed è di 187,5 al mese per una persona sola, 294,5 per le coppie, 382,5 per i nuclei di tre persone 461,25 per quelli di quattro. Il massimo è 539,8 euro mensili per famiglie con sei o più membri. La seconda gamba del Rei è il “progetto di attivazione e inclusione sociale” che i Comuni dovrebbero mettere a punto per i beneficiari.
Problema: le risorse stanziate si fermano, per il 2018, a 1,7 miliardi. Quindi non bastano per tutti. Non a caso i requisiti sono severi – occorre avere un Isee non superiore a 6mila euro e un patrimonio immobiliare (esclusa la casa) di meno di 20mila euro – e “in sede di prima applicazione” hanno la precedenza le famiglie con almeno un minore, una donna in gravidanza, disabili o over 55 disoccupati. Come fatto notare dalle associazioni riunite nell’Alleanza contro la povertà, solo un terzo dei nuclei che ne avrebbero bisogno riuscirà dunque, a regime, a ricevere la Carta Rei con cui prelevare contante, fare acquisti o pagare le bollette. Si tratta di circa 700mila famiglie, per un totale intorno a 1,8 milioni di persone. E’ comunque previsto che dal 2019 gli stanziamenti salgano a oltre 2 miliardi l’anno.

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