Sara Pagliarani, 28enne di Cesena, ha iniziato il dottorato a Brisbane. E sta realizzando il sogno di potere lavorare sulla fauna selvatica autoctona. "Farlo in Italia è come vincere al lotto. Ammiro chi è rimasto nel nostro Paese, ma io non ce l'ho fatta. Riproverò. Voglio tornare, ma non so quando e se accadrà"
“La mia prima e unica casa rimarrà sempre l’Italia”, racconta Sara Pagliarani con un koala tra le braccia. Voleva entrare nella cerchia di veterinari italiani che si occupano di fauna selvatica, ma riuscirci in Italia “è come vincere al lotto”. “Spesso si deve partecipare a bandi pubblici, e la storia è sempre la stessa: in Italia, spesso e volentieri, quando escono i bandi si sa già a chi saranno assegnati i posti disponibili, manca solamente il nome in chiaro, ma è come se ci fosse già”. A nulla è valso il corso di alta formazione in “Fauna selvatica e sanità pubblica” presso l’università degli studi di Milano o la laurea in medicina veterinaria all’ateneo di Bologna. “Mi sono laureata piena di sogni e di voglia di fare ma mi sono vista sbarrare molte strade e chiudere tante porte in faccia”. Tanto che il sogno di essere veterinaria in Italia si è dissolto “nel momento esatto in cui mi sono resa conto che il mio amore per gli animali non era sufficiente per farmi andare a lavorare sei giorni a settimana per 500 euro al mese”.
Dopo l’università, infatti, per la 28enne di Cesena la scelta che le era stata proposta era tra un dottorato senza borsa di studio (“come si può accettare dopo cinque anni di università, fuori casa, con i soldi di mamma e papà?”) e un lavoro sottopagato chiuso dentro a quattro mura. “I veterinari neolaureati sono spesso sfruttati per 12 ore al giorno, gratis, con la scusa del ‘prima devi imparare’. Come se fosse colpa nostra il fatto che l’università italiana non fornisca un sufficiente training pratico e che usciamo dall’ateneo senza sapere neppure tenere in mano una siringa”. La prospettiva, dopo avere superato il percorso ad ostacoli dei primi anni di lavoro, è “di essere pagati, come liberi professionisti, con cifre letteralmente ridicole”. Attorno a lei, molto colleghi si stavano iniziando a spostare nel Regno Unito, o comunque in paesi dove si sentivano riconosciuti, non solo dal punto di vista economico. Così, dopo tirocini formativi in Italia (Roma, Trento) e negli Stati Uniti (grazie a una borsa di studio dell’università di Bologna), l’iter per l’application in Australia è iniziata quasi per caso. “Non avrei mai pensato di poter essere selezionata e soprattutto di poter ricevere una borsa di studio dal governo australiano. Mi sento fortunata ad avere avuto la possibilità di poter fare quello che mi rende felice in una posto paradisiaco come l’Australia”.
Oggi Sara è al primo dei quattro anni del suo dottorato alla University of Queensland a Brisbane. In pratica, si occupa di una malattia infettiva dei koala, la chlamydiosi, realizzando il sogno – incompiuto in Italia – di potere lavorare su fauna selvatica autoctona. “Ammiro il coraggio e l’intraprendenza di quelli che in Italia ce la stanno facendo andando contro il sistema. Io ho tentato ma non sono riuscita a combatterlo, riproverò sicuramente, anche se non ora”. Al momento la 28enne romagnola ha davanti a sé l’inizio di una carriera accademica tutta straniera. “Noi giovani che usciamo dagli atenei italiani siamo demotivati. Ci viene detto che se davvero volessimo potremmo trovare lavoro, che siamo choosy. Invece io credo che accontentarsi sia come tagliare le ali degli uccelli, impedire a delle giovani menti di esprimere se stessi e cercare di rendere questo mondo una casa migliore per tutti”.
Certo, andare dall’altra parte del mondo ha un prezzo. Rompe ogni ritmo e certezza. Non sai più a chi chiedere aiuto nei momenti di bisogno “o quale amica chiamare quando ti senti un po’ giù e ti servirebbe solo un gelato”. Eppure, questo è il prezzo da pagare per allontanarsi da un mondo del lavoro dove non ci si sente rispettati. “Nessuno, soprattutto all’inizio, vuole essere pagato tanto ma solo essere riconosciuto come professionista e incitato a fare meglio mentre lavora in un ambiente stimolante e appagante, non nel clima di terrore italiano dove hai paura di perdere il lavoro se chiedi un giorno libero a Capodanno o se comunichi al datore che hai intenzione di avere un figlio”. Ed è così che l’Italia diventa una Eldorado da raggiungere solo quando si avrà ormai i capelli grigi. “Non potrei pensare di passare la mia vecchiaia in nessun altro posto se non circondata dalle mie colline, dai sapori della Romagna e dalle persone a cui voglio bene. Ma non so quando e se accadrà”.