di Tito Borsa
Pare incredibile che nell’anno Domini 2018, in un Paese relativamente evoluto chiamato Italia, tra gli argomenti della campagna elettorale ci sia anche l’obbligatorietà dei vaccini, argomento molto delicato trattato con un pressapochismo raro e inquietante. Se nel centrodestra il decreto Lorenzin è motivo di scontri fra Lega (favorevole all’abolizione dell’obbligo) e Forza Italia (contraria), Matteo Renzi distorce e strumentalizza su Facebook: “Mettere in discussione i vaccini obbligatori, come stamani ha fatto Salvini, significa scherzare col fuoco sul futuro dei bambini: è un errore drammatico”.
E nel calderone del cosiddetto antivaccinismo mette anche i 5 Stelle che invece sin dall’introduzione del decreto Lorenzin a maggio sostengono una linea più eticamente sensata, volta “allo sviluppo di una politica di raccomandazione dei vaccini capillare nel territorio, sostenuta dalle necessarie risorse finanziarie ed infrastrutturali, affinché le famiglie siano accompagnate dai propri pediatri e dai propri medici verso la vaccinazione, e affinché venga rimosso ogni ostacolo pratico alla vaccinazione stesso”.
Chiunque dotato di buon senso non può che essere favorevole all’uso dei vaccini, ma contrario alla loro obbligatorietà, basandosi su considerazioni molto concrete, ma anche su argomenti più elevati e non immediati. Se da una parte, in un Paese come il nostro, in cui quasi nessuno ha fiducia nelle istituzioni, l’imposizione dall’alto di qualunque cosa crea sospetto nella domanda cui prodest? Dall’altra ci si scontra con l’annoso duello fra libertà individuale e libertà collettiva: quale deve prevalere?
Se è vero che la copertura vaccinale serve anche alla collettività, e più precisamente a coloro che per questioni mediche non possono vaccinarsi, è anche vero che esiste un principio, proprio del pensiero liberale, all’autodeterminazione, che ripudia ogni imposizione di cure mediche all’individuo consapevole. Ed è proprio la consapevolezza a essere centrale in questo dibattito: la trasparenza e la divulgazione, una scienza più orizzontale possibile, sono forse i compromessi migliori per non violare né la libertà individuale né quella collettiva.
Un’utopia? Sono 15 (tra cui Austria, Germania, Regno Unito e Svezia) i paesi europei senza vaccinazioni obbligatorie, non certo pericolosi covi libertari, Paesi che puntano invece sulla divulgazione e sull’informazione, ottenendo risultati altrettanto buoni e in più dei cittadini con più fiducia nelle istituzioni. È così difficile? Senza dubbio più complesso di una semplice imposizione calata dall’alto, ma nulla di impossibile. Ed è fondamentale muoversi in questa direzione, perché in gioco non ci sono soltanto le coperture vaccinali ma anche i diritti individuali fondamentali. Assurdo che, ricordiamo che siamo in Italia nel 2018, una discussione così delicata debba essere espressa politicamente nell’aberrante dicotomia provax-antivax. La questione è invece molto più profonda e problematica e riguarda, lo ripetiamo, la libertà individuale contrapposta al vantaggio collettivo. Temiamo però di parlare di concetti che i nostri rappresentanti non riescono neanche a comprendere, figuriamoci a discuterne.
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