Diritti

Bahrain, dove le baby Olimpiadi servono a nascondere la repressione

Da che mondo è mondo, i governi s’ingegnano in ogni modo per mostrare al mondo un’immagine positiva, per oscurare le notizie dannose, per distrarre opinioni pubbliche interne e internazionali. Ricorrere agli eventi sportivi è sempre una buona strategia.

Nel giugno 2015 l’Azerbaigian aveva inventato e ospitato i primi Giochi olimpici europei. Ma il Bahrain è andato oltre: ad aprile ospiterà le prime “baby Olimpiadi”. Non è uno scherzo, basta leggere il comunicato ufficiale del Comitato olimpico nazionale. Le discipline saranno cinque: atletica leggera, ginnastica, calcio, pallacanestro e sollevamento pesi. A cimentarsi saranno bambine e bambini dai due ai quattro anni.

Intanto si avvia alla conclusione uno dei tanti processi contro Nabeel Rajab, già presidente del Centro per i diritti umani del Bahrain: rischia 15 anni di carcere per “diffusione di notizie false in tempo di guerra”, “offesa a pubblico ufficiale (il ministro dell’Interno) e “offesa a un paese straniero” (l’Arabia Saudita), per aver postato su Twitter una serie di commenti sulla guerra in Yemen (il Bahrain fa parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita che da quasi tre anni sta distruggendo il paese) e sulle torture praticate nella prigione di Jaw.

A Jaw, peraltro, Rajab è detenuto dopo che il 22 novembre 2017 la Corte d’appello ha confermato la sua condanna a due anni di carcere per “aver diffuso notizie e voci false allo scopo di screditare lo Stato attraverso interviste televisive” risalenti al 2015 e al 2016.

Arrestato il 13 giugno 2016, Rajab ha trascorso nove mesi in isolamento. Da aprile a ottobre del 2017 è stato ricoverato in una struttura ospedaliera gestita dal ministero dell’Interno per delle complicazioni sorte a seguito di un intervento chirurgico. Nei confronti di Rajab sono in corso altri due procedimenti.

Uno riguarda due articoli usciti a sua firma sul New York Times e su Le Monde, rispettivamente il 4 settembre e il 19 dicembre 2016, che hanno dato luogo a due distinte accuse: “diffusione di notizie false, dichiarazioni e voci maliziose per minare il prestigio dello stato” e “diffusione di notizie false, dichiarazioni e voci maliziose per minare il prestigio dei paesi fratelli del Consiglio di cooperazione del Golfo e mettere a rischio le relazioni con loro”.

Rajab deve poi rispondere di “incitamento all’odio verso lo Stato”, “incitamento a non rispettare la legge” e “diffusione di notizie false” per aver protestato su Twitter contro la ripresa, nel gennaio 2017, delle esecuzioni capitali e per un’immagine apparsa sul suo profilo Instagram in cui accanto alla foto del re del Bahrain viene citato il Corano per porgli la provocatoria domanda “Davvero credi che nessuno abbia potere sopra di lui?”.

Rajab aveva già scontato due anni di carcere, sempre a Jaw, dal maggio 2012 al maggio 2014 per “raduno illegale”, “disturbo alla quiete pubblica” e “invito a prendere parte a manifestazioni non autorizzate”. Infine, nell’aprile 2015 era stato condannato a sei mesi di carcere per due tweet, postati nel settembre 2014, giudicati offensivi nei confronti dei ministri dell’Interno e della Difesa. Era stato graziato dopo tre mesi per motivi di salute.