Sono lieto di segnalare la serie d’animazione Max & Maestro, nata dallo sforzo congiunto di Rai, France Télévision e Adr-Hr, che sarà presentata il 18 gennaio a Parigi. Il cartone animato andrà in onda questa primavera su Rai Gulp, per poi essere trasmesso nel resto del mondo. Gli episodi, prodotti e realizzati in collaborazione con Monello Productions, MP1 e il centro di animazione di Rai Ragazzi, narrano del fortuito incontro tra un bambino di periferia e il misterioso maestro che lo guiderà alla scoperta della musica d’arte. Articolato in 52 puntate, il progetto si avvale della preziosa collaborazione di Daniel Barenboim che, oltre ad aver supervisionato tutto il lavoro, sarà personalmente fra i protagonisti della serie animata. Il giovane Max coltiva il sogno di diventare un grande pianista e direttore d’orchestra, così il maestro, rapito dal talento del ragazzino, decide di farne il suo piccolo assistente. Tuttavia, dato che nell’ambiente da cui proviene Max la musica d’arte non gode di grande considerazione, sia le lezioni che le numerose missioni affidategli dal mentore si svolgeranno in gran segreto. Per conoscere il seguito, non ci resta che attendere la serie.
Mi è capitato spesso di sottolineare l’assoluta importanza di mettere i bambini in contatto con la musica d’arte, sin dalla tenera età. Senza scomodare la psicologia o le neuroscienze, sappiamo ormai che le mappe cognitive con cui i bimbi organizzano la loro visione del mondo, si formano nei primi sei, otto anni di vita. È quindi, soprattutto in questa fase, che si gioca buona parte della sfida educativa nell’inculcare la curiosità prima, e l’amore poi, per la musica d’arte. Non si tratta necessariamente di creare futuri musicisti, quanto piuttosto di formare persone che, grazie alla musica, possano godere di un’esistenza più felice, oltre che costituire il pubblico del domani. Già da diversi anni, esistono numerose iniziative (El Sistema su tutte) che forniscono un’educazione musicale gratuita a bambini di tutte le estrazioni sociali. Parallelamente a queste preziosissime iniziative istituzionali (presenti oggi anche in Italia) fa piacere notare che anche media popolari come la televisione, inizino a veicolare maggiormente questo genere di musica.
Max & Maestro (ideata da Giorgio Welter e Agathe Robilliard, sceneggiata da Marco Beretta e Anna Fregonese e diretta da Christophe Pinto) costituisce a mio avviso un tentativo coraggioso e garbato, di proporre finalmente la musica d’arte come un qualcosa di accattivante e avventuroso. La scelta di raccontare un ragazzino talentuoso che, a partire dal rap sogna però di fare il pianista ed il direttore orchestra, non è né banale né scontata, soprattutto in un’epoca che offre modelli culturali ed antropologici spesso degradanti o addirittura nefasti. Inoltre, c’è la componente del mistero, elemento cardine nell’alimentare quella curiosità di cui nessuna attività intelligente può davvero fare a meno. In tal senso, la figura del misterioso maestro che inizia il ragazzino ai segreti della musica, è un messaggio chiaro: vuoi capire la musica? Allora devi fare un po’ di fatica! Per assurdo che possa sembrare, oggi questo è un messaggio rivoluzionario.
In tal senso, ho spesso la sensazione che molti programmi cerchino di attrarre il pubblico spogliando la musica di quell’aura che, per dirla con Walter Benjamin, forse invece essa non dovrebbe mai perdere. Veicolare l’idea che la musica classica non è noiosa, è vero solo a patto che si creino le condizioni per far incuriosire le persone verso un linguaggio non sempre immediato o in linea con la fruizione isterica tipica dei nostri tempi. Ci sono forme di intrattenimento immediatamente accessibili, come possono esserlo per un bambino le canzoni dei cartoni animati, ed altre a cui bisogna essere gradualmente preparati anche a costo di un piccolo sforzo iniziale. Un valzer di Strauss avrà un appeal più immediato rispetto ad un preludio di Wagner, esattamente come (con le dovute proporzioni) l’album Thriller di Michael Jackson è più accessibile di The Dark side of the Moon dei Pink Floyd. Personalmente, pur concordando in parte con quei musicisti che sostengono che la musica si divida semplicemente in bella e brutta, credo che un ragionevole ripristino delle differenze sia alla base di una fruizione sana e consapevole della musica tutta.
In tal senso, l’idea che il rap e la musica d’arte siano due cose diverse, è oggi paradossalmente reazionaria. Parafrasando Giuseppe Sinopoli, insomma, certa musica è fatta per intrattenere, altra, per pensare…