Ho trent’anni e il prossimo 4 marzo andrò a votare. Sarà più un dovere che un diritto. Dopo un’infilata di governi rifilati e non eletti, dopo voti di fiducia che tolgono fiducia, dopo leggi elettorali che mantengono la desinenza in -um ma variano gli umori, voglio, fortissimamente voglio, votare. E voglio che sia un odioso voto utile, cogliere l’occasione di una democrazia in saldo per ambire a incidere con punta di matita. Credo nel mio voto e nei suoi effetti. Il problema è che non credo a tutto il resto. Perché se oggi hai trent’anni, probabilmente possiedi un paio di lauree incorniciate e un curriculum incastonato di colloqui col doppio fondo.
Sarai anche un bamboccione, choosy, stagista precario, ma verosimilmente hai una lente di cultura, e diffidenza che ti fa leggere tra le righe di questa campagna elettorale. Disincantato più delle generazioni al comando, mai così irretite dalle tv e divise dalle condivisioni fake. Ogni talk è un annuncio, ogni tg una promessa. I contratti con gli italiani che nascondono postille scritte neanche più troppo in piccolo. Tanto gli italiani non leggono, tanto gli italiani tifano. Abrogazioni, incentivi, pensioni minime che si fanno massime, canone così in bolletta da sparire, redditi di circostanza, millanta euro in busta paga, collusioni con le banche, collisioni e poi scissioni, parole, opere e omissioni.
Sai che bisogna ripartire dai giovani, sai che gli anziani hanno diritto, sai che le famiglie e sai che gli immigrati. Però tu sai anche che tizio non sfiora certi tasti per non drizzare le orecchie di certi elettorati, che caio taglia il prezzo delle pentole ma non dice se ha i coperchi; sai i paroloni generici e i principi generali, che la teoria della relatività si applica perfino alla verità quando conviene. Sai di non sapere come stanno davvero le cose. E ti senti sfiduciato.
Non è facile confidare nel futuro di questo Paese quando non credi in coloro a cui lo affiderai, arbitri di una finale che dimostrano disinvoltura nel cambiare le regole. Lo hanno fatto quando erano al potere, lo hanno fatto al loro interno per prendere il potere. Una regola è una garanzia, ma una regola che può essere cambiata garantisce solo chi la scrive; finché avrà la penna in mano. Poi la impugnerà un altro e si ricomincia. Altri cinque anni da rifare, con la generazione giovane sorpassata senza aver avuto la sua occasione per correre.
Niente strategie spicciole, niente ammiccamenti palesi: vorremmo votare chi la spara più piccola. Chi non promette ma spiega: la situazione è questa, possiamo fare questo. Per i miracoli rivolgersi sì a Roma, ma in zona Vaticano. A trent’anni chiediamo la concretezza che domandano a noi quando per fare esperienza nel lavoro serve esperienza nel lavoro. Chiediamo di fare i conti col possibile come facciamo noi quando scendiamo dalle spalle dei genitori. E no, non vuol dire austerità ma dignità; significa sorridere a denti stretti mentre si costruisce il futuro anche con tre part-time alla volta. Chiediamo esempi di integrità.
L’Italia resiste e noi con lei.