Per la prima volta i ricorsi, depositati dall’avvocato Paolo Colasante, vengono proposti con la procedura d’urgenza prevista dall’articolo 700 del codice di procedura civile. Il consulente Enzo Di Salvatore: "Vogliamo che la Consulta venga investita della questione prima delle politiche"
Tre ricorsi “inediti”. Depositati nei tribunali civili di Firenze, L’Aquila e Roma contro il Rosatellum. La nuova legge elettorale, secondo i deputati di Alternativa libera che hanno deciso di impugnarla, sarebbe illegittima almeno per tre ragioni. Perché lede il diritto di voto (articolo 48), viola le modalità di elezione del Senato su base regionale (articolo 57) e il principio di uguaglianza (articolo 3) sanciti dalla Carta costituzionale. Non solo. È la prima volta, infatti, che un ricorso contro la normativa elettorale viene proposto con la procedura d’urgenza prevista dall’articolo 700 del codice di procedura civile.
Controllo preventivo – Una scelta mirata come spiega Enzo Di Salvatore, professore di diritto costituzionale all’Università di Teramo e consulente dei ricorrenti per la redazione dei tre ricorsi (identici) depositati dall’avvocato Paolo Colasante: “L’obiettivo è quello di ottenere che la Corte Costituzionale venga investita della questione prima che siano celebrate le prossime elezioni politiche”. I ricorrenti puntano, in sostanza, ad ottenere dalla Consulta, un “controllo ‘preventivo’ di costituzionalità delle disposizioni” del Rosatellum prima del suo debutto. Per impedire che si ripeta quanto già accaduto con il Porcellum, dichiarato incostituzionale quando ormai il Parlamento si era già insediato. Un rischio che il ricorso alla procedura d’urgenza, accelerando i tempi, punta a prevenire. Evitando che una eventuale “decisione postuma” di incostituzionalità, pronunciata dalla Corte ad elezioni ormai celebrate, lasci “intatta la composizione di un Parlamento eletto sulla base di una normativa costituzionalmente illegittima”.
Tempi stretti – Le 39 pagine del ricorso, che analizza analiticamente le criticità e i possibili profili incostituzionalità del Rosatellum, si concludono proprio con la richiesta al giudice civile di rimettere la legge elettorale al vaglio della Consulta. Richiesta che, se l’istanza venisse accolta, aprirebbe scenari difficili da prevedere. “La Corte potrebbe adottare una decisione prima delle elezioni o, se non ci fossero i tempi, rinviarla a dopo le elezioni”, spiega ancora Di Salvatore. Quanto al merito, i pronunciamenti potrebbero essere ancora più disparati. Una declaratoria di illegittimità di alcune norme della legge, renderebbe il Rosatellum applicabile al netto delle disposizioni ritenute incostituzionali. E se la decisione arrivasse dopo il voto, potrebbe spingere il prossimo Parlamento a varare l’ennesima legge, utilizzabile però solo per il futuro, nel giro di pochi anni. Quel che è certo è che non occorrerà attendere a lungo per capire che piega prenderà la vicenda. Il 17 gennaio, infatti, è fissata l’udienza dinanzi al giudice di Firenze che esaminerà il ricorso presentato per conto del deputato Massimo Artini di Alternativa libera. Il 31, invece, la scena si ripeterà al Tribunale dell’Aquila, dove il ricorso è stato invece promosso su mandato di Stefano Moretti, presidente dell’Osservatorio Antimafia Abruzzo. Quindi sarà la vota di Roma (la data non è stata ancora fissata), dove a prendere l’iniziativa è stata la parlamentare Eleonora Bechis.
Sbarramenti paradossali – Ma su cosa vertono, nel dettaglio, le obiezioni sollevate dai ricorrenti? Sotto accusa finiscono, innanzitutto, le soglie di sbarramento fissate dal Rosatellum. In particolare il combinato disposto delle soglie del 3 e dell’1% previste, su base nazionale, per le singole liste. “I voti ottenuti dalle liste che abbiano conseguito meno dell’1% sono dispersi – si legge nel ricorso –. I voti ottenuti dalle liste che abbiano conseguito fra l’1% e il 3% (che non accedono al riparto dei seggi) sono utili ai fini del calcolo della cifra elettorale della coalizione”. A beneficio delle forze politiche che, all’interno della stessa coalizione, hanno ottenuto più del 3% dei voti. Con un effetto paradossale: il voto espresso da un elettore per un partito può finire per essere conteggiato a favore di un’altra lista. Per questo, spiegano i ricorrenti, si configurerebbe una “violazione palese del principio del voto diretto”. Oltre che, per entrambe le soglie (del 3 e dell’1%), una “palese violazione del principio di ragionevolezza e del principio di eguaglianza del voto”. C’è poi la questione dell’applicazione per il Senato “di uno sbarramento determinato a livello nazionale”. Un elemento, sottolinea il ricorso, “inedito nella sua storia” e di “dubbia compatibilità con la previsione costituzionale di un Senato eletto a base regionale (articolo 57)”.
Porte girevoli – Ma tra i profili di incostituzionalità, non manca neppure la discussa previsione del Rosatellum che consente al candidato in un collegio uninominale di candidarsi anche nei collegi plurinominali fino ad un massimo di cinque. Una norma che finisce per determinare “una mobilità delle liste di candidati del collegio plurinominale e, perciò, una loro non conoscibilità”. Una disposizione definita nel ricorso “paradossale e irragionevole”, che di fatto consente ad “un candidato sconfitto nel collegio uninominale”, e quindi bocciato dagli elettori, una volta “uscito dalla porta”, di rientrare “dalla finestra”. Grazie, appunto, al paracadute del proporzionale. Ma altrettanto irragionevole, scrivono i ricorrenti, è la previsione che stabilisce che, se il candidato è eletto in più collegi plurinominali, viene proclamato eletto nel collegio nel quale la lista ha preso meno voti. Un’ulteriore violazione “del principio del voto diretto ed eguale”. Che tradisce, secondo i ricorrenti, la malizia del legislatore: “Far scattare il seggio nel collegio in cui il candidato abbia ottenuto la cifra elettorale inferiore implicitamente consente di utilizzare un candidato avente un particolare seguito politico in un certo territorio al fine di consentire l’attribuzione ad altri (che lo seguono in lista) del proprio seggio, mentre costui può andare a collocarsi altrove”. E così, il solito elettore che ha votato per far eleggere il primo della lista si ritrova eletto il secondo.