“Con le mie denunce ho fatto arrestare da solo otto persone. Se duecento persone parlassero 1600 mafiosi finirebbero in galera”. Ancora vengono i brividi a sentire le parole di Libero Grassi, imprenditore ucciso dalla mafia il 29 agosto del 1991 perché si rifiutò ripetutamente di pagare il pizzo. Ricordo avvolto nel dolore, come nella dignità e nel coraggio di un uomo vero, rievocato da una televisione in vena di fiction di impegno civile e drammaturgicamente riuscita. Libero Grassi, primo dei quattro film della sere A Testa alta, prodotto da TaoDue, e andato in onda su Canale 5 domenica 14 gennaio, ha sfiorato nel prime time la prima posizione di Che tempo che fa (4.970.000 – 18,8%) ottenendo, dalle 21.29 alle 22.43, 4.084.000 spettatori con il 15.7%. Mentre la seconda parte della fiction (dalle 22.51 alle 23.28) ha ottenuto 3.486.000 spettatori con il 17.1% superando in corsa Che Tempo Che Fa – Il Tavolo, autentico flop faziano, che sprofonda ogni domenica a 2.810.000 spettatori pari al 15.7% di share.
In primissimo piano il solito, irriducibile understatement di Giorgio Tirabassi, già Paolo Borsellino in un interessante fiction del 2004 in due puntate, diretto da Gian Maria Tavarelli. Nei panni di Grassi il 57enne attore romano torna a quella mimica minimale che gli è propria: microgesti, traiettoria bassa e penetrante dello sguardo, postura che gradualmente si fonde con quella dell’originale. Proprio perché Grassi, strana somiglianza somatica con Norberto Bobbio, diventò personaggio televisivo nella Samarcanda di Michele Santoro, andando a denunciare la sua situazione in diretta nazionale. E con un paio di pillole con il vero Santoro descamisado che fa domande a Grassi/Tirabassi che inizia questa fiction per poi subito focalizzarsi sinteticamente sull’ultima parte della vita dell’imprenditore catanese, trasferitosi con la sua azienda Sigma nelle periferia di Palermo. Mutande, pigiami, vestaglie, clienti dalla Spagna e dalla Danimarca, dipendenti non trasfigurati dalla lotta di classe come fossimo di fronte alla più classica delle conduzioni familiari, Grassi e la sua Sigma mostrano l’esempio della storica piccola-media impresa italiana diventando bersaglio immobile e indifeso dell’orrore mafioso.
La regia di Graziano Diana non esalta figurativamente l’eroe, ma lo accompagna nella sua lunga via crucis posizionandolo in mezzo ad uno stuolo di attori secondari e comparse che non fanno mai pesare l’artificiosità recitativa. Merito anche di uno script equilibrato ed essenziale, orientato sul soggetto scritto direttamente dal produttore TaoDue, Pietro Valsecchi. Un signore che passa dal produrre il maggiore incasso di tutti i tempi con il Quo vado? di Zalone ad un ciclo come Liberi sognatori che proseguirà per le prossime tre domeniche con la storia del giornalista Mario Francese del Giornale di Sicilia, della poliziotta Emanuela Loi che faceva parte della scorta di Paolo Borsellino, e di Renata Fonte, assessore di un comune del Salento che ha difeso fino all’estremo sacrificio il suo territorio dalla speculazione edilizia.