Anche oggi voglio proporvi una storia, anzi una storiella. Si tratta di una storiella buddhista e – alla faccia del vezzeggiativo – quando l’ho sentita raccontare mi ha colpito molto.
A raccontarla è stata una docente dell’Università di Foggia, Antonia Chiara Scardicchio, tra i relatori dell’assemblea nazionale del Cnca che si è tenuta a Spello lo scorso ottobre. Mi ha colpito a tal punto che ora la ritengo emblematica e in grado di far comprendere il senso e significato delle cose emerse durante quei bellissimi giorni a Spello.
Il titolo dell’assemblea: “Sguardi meticci. Meticciati, disuguaglianza, partecipazione dal basso” svela bene il contesto.
Ma veniamo alla storiella.
Un giorno il diavolo era a passeggio con un amico. A un tratto i due vedono dall’altra parte della strada, perso per terra, un pezzo di verità e un uomo che pian piano si stava avvicinando. L’amico dice al diavolo: “Guarda! Quell’uomo si sta avvicinando a quel pezzo di verità. Fa’ qualcosa!” Ma il diavolo continua indifferente a camminare senza occuparsene. Intanto, l’uomo, procedendo il cammino, arriva nel punto dove si trova il pezzetto di verità e avendolo visto si ferma a curiosare. Allora l’amico, allarmato, si rivolge di nuovo al diavolo e gli dice: “Oh, sveglia! Non vedi cosa sta succedendo? Ora, sicuramente, quella persona troverà la verità”. L’uomo, infatti, si china a guardare quella cosa lì per terra. La riconosce, la raccoglie e se la tiene stretta. Allora l’amico rivolgendosi al diavolo esplode e dice: “Proprio non ti riconosco più! Hai permesso che un uomo trovasse un pezzo di verità”. E il diavolo finalmente risponde all’amico: “Ma di cosa ti preoccupi? Farò molto di più che impedire a quell’uomo di raccogliere quel pezzetto di verità. Gli farò credere di aver trovato tutta la verità”.
Capite perché mi ha colpito molto questa storiella buddhista? E perché la ritenga importante al punto da volerla condividere con voi lettori? Credo che il messaggio sia molto chiaro.
Meglio e più di mille ragionamenti, il racconto sottolinea come, per crescere, sia necessario saper cogliere il pezzo di verità che si nasconde nella differenza dall’altro. E questo lo abbiamo già e più volte sperimentato nel lavoro educativo. Si cresce, si fanno passi verso l’obiettivo quando si cammina assieme, quando si collabora nonostante le diverse sfumature. Spesso riuscire a mettere insieme punti di vista, sguardi un po’ diversi, rafforza le possibilità di successo della squadra.
Quello che porta l’altro non è nulla ma è un punto di vista sulla verità. A maggior ragione, poi, questo atteggiamento di ascolto, di rispetto, la capacità di dare il “giusto” risalto – mai assoluto – al proprio punto di vista, alla propria convinzione mi pare caratteristica vincente nel periodo storico che stiamo vivendo. E non mi riferisco solo alla costruzione della società meticcia in cui tutti noi necessariamente siamo coinvolti, ma sicuramente anche a quella.
Quello che porto io, non è tutto (la verità) ma è un punto di vista sulla verità. A proposito di quanto sto dicendo mi sembra che la questione centrale non sia tanto quella di credere o meno in una verità assoluta – che alcuni di noi possono anche chiamare Dio – ma del come ci si rapporti a questo possibile assoluto. Credo che questo rapporto non debba essere interpretato come una forma di possesso (io ho la verità assoluta, possiedo tutta la verità) ma come un esser parte (io sto dentro la verità, sono parte di un orizzonte di verità che mi comprende – che io non comprendo e domino in quanto tale, nella sua interezza e profondità – e in cui stanno dentro anche gli altri). Di più nel momento in cui pretendo di possederla rischio di perdere questo orizzonte uscendo dal cammino di avvicinamento.
Questa storiella è un invito a inserirsi con il giusto atteggiamento, fatto di ascolto, attenzione e rispetto verso l’altro, ma anche della “giusta” consapevolezza del valore del nostro retaggio nel laboratorio di confronti, incontri, positive contaminazioni che è il tempo storico che stiamo vivendo. In questo tempo ci siamo e non possiamo fuggir via. È così che va la storia. E A ben guardare si può dire che siamo tutti bastardi. E proprio questa – aggiungo e sottolineo – è la nostra forza.