Unite sotto la stessa bandiera. La stretta di mano tra la delegazione della Corea del Nord e i cugini del sud che a Panmunjom hanno trovato un accordo per sfilare fianco a fianco durante la manifestazione d’apertura dei Giochi Olimpici Invernali di Pyeongchang arriva come una boccata d’aria fresca per le potenze mondiali attente alla situazione nella Penisola asiatica. Una piccola luce dopo il buio degli ultimi mesi, quando il regime di Kim Jong-un e il governo di Donald Trump sono più volte arrivati allo scontro sulla questione del nucleare nordcoreano.
Ma a chi crede, come sembra dall’entusiasmo mostrato dal Ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, che questo accordo possa rappresentare il primo passo per nuovi colloqui riguardanti il programma nucleare di Pyongyang, Antonio Fiori, docente di Politica e Istituzioni della Corea all’Università di Bologna, risponde che siamo nel campo della fantascienza: “E’ sicuramente un ottimo segnale che può aprire la strada a un periodo di distensione – dice a IlFattoQuotidiano.it – ma se qualcuno pensa che, da questo momento, si possa mettere sul tavolo negoziale con il regime la questione del nucleare, si accorgerà che quel tavolo salterà immediatamente. Il tema non è negoziabile, al momento. Kim Jong-un ha messo in campo una strategia win-win”.
Non è la prima volta che lo sport funge da mezzo per avviare un dialogo tra potenze ostili e non è la prima volta che questo avviene anche tra le due Coree. È successo per la prima volta nel 1991 in occasione dei Campionati Mondiali di ping pong, in Giappone, e nello stesso anno per i Mondiali under-20 di calcio in Portogallo. La bandiera della Corea unificata ha poi sventolato alle Olimpiadi di Sidney, nel 2000, ai Giochi Asiatici del 2002 e alle Universiadi del 2003 in Corea del Sud, ai Giochi Olimpici di Atene 2004, alle Olimpiadi invernali di Torino 2006 e ai Giochi Asiatici di Doha, Qatar, sempre nel 2006.
“Non è la prima volta che succede e abbiamo visto tutti come è andata a finire – continua Fiori – solo dopo la fine della manifestazione capiremo i veri effetti, ma anche le cause, di questo evento. Una cosa che noi osservatori dovremmo cercare di capire, però, è che nella mente dei vertici nordcoreani questa azione è totalmente slegata dalla questione nucleare. Se qualche leader mondiale pensa di sedersi a un tavolo con la Repubblica Popolare dopo i Giochi Olimpici e mettere sul piatto il tema della denuclearizzazione, il tavolo salta. Questo avvenimento apre la strada a nuovi possibili colloqui, ma non su questo tema. Non mi sorprenderei, al contrario, se tra 15 giorni Pyongyang decidesse di compiere un nuovo test missilistico”.
Chi pensava a una stagione di distensione e avvicinamento in stile “diplomazia del ping pong”, che gettò le basi per la visita nella Cina maoista del presidente americano Richard Nixon, nel 1972, dovrà, secondo Fiori, mettere da parte le proprie speranze. Il professore spiega, però, che generalmente queste manifestazioni avvengono in periodi di alleggerimento della tensione tra le parti in causa, diversamente da ciò che è accaduto negli ultimi mesi grazie soprattutto alle strategie aggressive alle quali sono ricorsi Kim Jong-un e Trump.
“I motivi di questa mossa, voluta dalla Corea del Nord e permessa dall’approccio moderato del nuovo Presidente sudcoreano, Moon Jae-in, senza l’intermediazione diretta di altre potenze, non vanno ricercati in una distensione che ancora non c’è – prosegue Fiori – le ragioni si trovano nella strategia del Regno Eremita e aprono a diverse possibilità, più o meno concrete. La prima, che mi sembra la più ipotizzabile, è che la Corea de Nord stia comprando tempo: sanno di essere molto vicini alla realizzazione del proprio obiettivo di sviluppo militare e cercano di ottenere altri mesi di calma per portarlo a compimento. Raggiunto quell’obiettivo, la loro condizione di potenza nucleare sarà irreversibile e potranno sedersi ai tavoli negoziali con maggior peso. L’altra possibilità è legata alla situazione interna: Kim Jong-un sta portando avanti una politica di avvicinamento al proprio popolo e se da un punto di vista militare continua a sbandierare i propri progressi, in campo economico lo sviluppo del Paese ha iniziato da poco a muovere i primi passi. Questa occasione gli permetterebbe di mostrare agli abitanti della Corea del Nord che sta lavorando per il loro benessere”.
Da questi due punti si sviluppano, poi, altre ipotesi proposte da diversi analisti, ma ancora non supportate da fatti concreti: “E’ possibile che, come sostengono alcuni, Kim Jong-un abbia trovato in Moon Jae-in un interlocutore che gli ispira fiducia – dice il professore – conoscendo il modo di pensare e agire del leader nordcoreano mi suona strano, ma in effetti il suo omologo del sud ha veramente ammorbidito i toni. Oppure, tornando alla questione economica, potremmo analizzare l’importanza del nuovo resort sciistico costruito in Corea del Nord recentemente: le Olimpiadi potrebbero essere viste come un primo passo per aprire a un mercato turistico per i sudcoreani, creando una sorta di zona franca smilitarizzata dove gli amanti dello sci della Corea del Sud possano venire in villeggiatura in totale tranquillità. Sembra un’opzione fantascientifica, ma è già successo in passato”.
Quello che è certo, secondo Fiori, è che l’accordo sui prossimi Giochi Invernali trovato tra le delegazioni delle due Coree rappresenta una nuova dimostrazione dell’attenta strategia messa in campo dal regime di Pyongyang: “Escludendo dal tavolo la questione nucleare – conclude il docente – Kim Jong-un si è messo al riparo da rischi che non vuole correre. Se questo evento dovesse aprire una stagione di dialogo, entrambe le parti in causa potrebbero trarne vantaggi economici o politici che, a lungo termine, possono portare a un nuovo dialogo su temi anche più delicati. Se, invece, l’azione della Corea del Sud e dei suoi alleati dovesse rivelarsi troppo aggressiva e far naufragare l’opportunità di futuri accordi, il regime non perderebbe niente. È una strategia win-win”.