Dopo aver trascorso la scorsa estate in tour con Niccolò Fabi, il cantautore torinese Alberto Bianco pubblica il suo quarto disco – Quattro, titolo dal sapore ledzeppeliniano – in uscita domani 19 gennaio, seguendo esclusivamente gusti personali e istinto. “Lavorare a stretto contatto con Niccolò è stato come fare un master in scrittura delle canzoni e sul mestiere di musicista. Ogni giorno mi ha fatto apprezzare ancora di più la nostra professione, dandomi quella giusta leggerezza nello scrivere, che è diversa da chi è impegnato a creare hit per fare questo lavoro”. Composto da 11 brani, Quattro è un album che si allontana dalla forma-canzone tradizionale (su tutti spiccano Tutti gli uomini e Ultimo chilometro), musicalmente si lascia andare a divagazioni e improvvisazioni, come in Padre e In un attimo, e rappresenta l’apice finora raggiunto da un artista di talento che ha prospettive di crescita ulteriore.
Alberto, sin dal primo ascolto di Quattro, appare evidente la tua volontà di allontanarti dalla forma canzone tradizionale, qual è il motivo che ti ha portato a questa scelta?
Fondamentale era allontanarsi da quello che funziona: con la mia band ci siamo detti ‘facciamo solo cose che ci piacciono e di cui possiamo andare fieri, allontanandoci dalla scena romana’ perché è Roma che attualmente comanda in ambito cantautorale. In Quattro spero che emerga la nostra volontà di dare una impronta torinese, perlomeno dal punto di vista del suono.
Le sonorità fanno venire in mente un po’ di cose, in primis i Subsonica, esponenti di spicco di quella torinesità riversata in musica, e i Radiohead di In Rainbows.
Avevamo il timore che scegliendo sonorità diverse, e appartenenti a epoche diverse, si potesse rendere poco coerente il disco, dandogli sì gran carattere, ma col rischio di un difficile ascolto. Invece col missaggio siamo riusciti a rendere il disco omogeneo, coerente, e oggi sono orgoglioso di affermare che è un piccolo viaggio nel nostro gusto. C’è tutto quello che mi piace, il suono anni 80, la dark wave, come in Punk Rock con le Ali, c’è Sufjan Steven in Ultimo chilometro, con la doppia chitarra stereo: più passa il tempo e più me ne convinco: c’è solo il nostro gusto, l’unica arma di autenticità e originalità. Bisogna andare fino in fondo ai propri gusti!
Da questo album potrebbero essere estratti vari singoli: 30 40 50, Felice, Fiat, Tutti gli uomini… direi che è il disco della maturità. Mi racconti come nascono le canzoni?
Tutti gli uomini è un pezzo che racchiude una gran quantità di ironia e ambiguità: chiacchierando con Niccolò Fabi, con cui ero in tour l’estate scorsa, ci è venuto in mente l’idea di raccontare varie storie, di raccontare più episodi, quasi come fosse una miniserie, tipo una Black Mirror da una canzone sola. E ci siamo immaginati i personaggi. La prima strofa l’ho scritta sul divano di Niccolò, mentre lui mi guardava e mi diceva sì con la testa oppure no, in base a quello che stavo scrivendo. È stato divertente immaginare storie di altri mescolandole alla mia. Mentre 30 40 50 è uno degli apici tra le cose che ho scritto e che rappresenta il linguaggio che mi piacerebbe usare, approfondire. Anche a livello di suono, armonia, melodia.
A livello di scrittura si sente l’influenza di Fabi, e del suo disco Ecco.
È un complimento enorme perché reputo quel disco una delle cose più belle che ha scritto. Inconsciamente, avendo avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto con lui, è stato come fare un master in scrittura delle canzoni e sul mestiere di musicista. Ogni giorno mi ha insegnato a vivere apprezzando ancora di più la nostra professione. Dando quella giusta leggerezza, diversa nello scrivere rispetto a chi è impegnato a creare hit per fare questo mestiere. In questo disco sono andato a esplorare il pop più estremo rispetto alle cose che ho fatto prima, ma con delle grandi ombre come in Fiat, In un attimo oppure la coda di Padre svariando molto, improvvisando e facendoli durare più del dovuto, dando il giusto spazio alla musica.
Il titolo è un po’ velleitario, in stile Led Zeppelin…
Ti confido che 4 o 5 ore prima di mandare il disco in stampa non avevo il titolo. Sentivo che non c’era un pezzo più importante dell’altro, e così ho pensato che Quattro fosse il titolo ideale per indicarli tutti. E poi oltre a essere il quarto disco, è un album nato in quattro anni, insieme con altre tre persone con cui formiamo i Fantastici 4. Così ho pensato che questo titolo fosse il modo migliore per omaggiare la nostra band formata da quattro persone.