Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi e Matteo Salvini al Viminale. È lo scenario auspicato dallo stesso leader di Forza Italia nel caso in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo dovesse annullare la sua incandidabilità. “Se arrivasse da Strasburgo una sentenza che cassi la decisione del Senato non potrei tirarmi indietro e andrei a Palazzo Chigi“, ha detto Berlusconi a L’aria che tira su La7. “Se io andassi a palazzo Chigi – ha aggiunto – penso che Salvini possa scegliere e lui essendo un centravanti di sfondamento potrebbe andare al ministero dell’Interno”.
Il ricorso di Berlusconi contro la legge Severino che gli impone l’incandidabilità fino al 2019 è stato discusso il 22 novembre scorso davanti ai giudici di Strasburgo. Di solito la Cedu impiega tra i sei e nove mesi per decidere ed emettere le sue sentenze. Ed è per questo motivo che il leader di Forza Italia considera “poco probabile” il suo ritorno a Palazzo Chigi, “perché conosco i tempi di Strasburgo“.
L’ex premier condannato in via definitiva per frode fiscale, però, ci spera ancora. “Questo è l’ultimo traguardo che mi do, voglio salvare l’Italia e riorganizzare questo Paese”, dice intervistato da Myrta Merlino. “Mi sono sempre stancato della politica – sostiene Berlusconi – che non mi piace e non mi è mai piaciuta ma ho sempre sentito in me il dovere di essere in campo perché il nostro Paese nel 1994 non finisse nella mani dei comunisti e ora nelle mani di una setta pericolosa che si chiama M5s. Distruggerebbe il Paese e massacrerebbe il ceto medio”.
L’ex cavaliere si avventura anche nel terreno minato dell’evasione fiscale. “Io non ho mai giustificato l’evasione fiscale. Pago il 73% di tasse e non evado nemmeno un euro. Se paghi fino a un terzo paghi volentieri, se paghi fino al 50% lo fai malvolentieri, oltre il 60% ti sembra un’estorsione di Stato”, dice, dimenticando le parole usate da presidente del consiglio in carica nel 2004: “Se si chiede una pressione del 50% ognuno si sentirà moralmente autorizzato ad evadere”.
Acqua passata per Berlusconi. Che pure indietro nel tempo ci torna per rilanciare l’accusa di “golpe” dietro alla caduta del suo ultimo governo. “Nel 2008 – dice – sono stato tradito da alleati sleali. Nel 2011 non me ne sono andato per i conti pubblici ma per un colpo di Stato ordito dall’allora presidenza della Repubblica e alcuni leader europei. Ci hanno fatto una trappola”. E adesso, quindi, come potrebbe governare il Paese un centrodestra che non si accorda neanche sulla legge Fornero? “L’unico punto del programma sui cui abbiamo da discutere è la legge Fornero. Salvini insiste per l’azzeramento, noi per l’azzeramento delle parti negative o degli effetti negativi, ci sono delle cose su cui la legge Fornero ha visto giusto”, dice il leader di Forza Italia, secondo il quale “non si può uscire dall’euro e anche Salvini è assolutamente convinto”.
Insomma, nonostante le numerose divergenze, Berlusconi cerca di far passare il concetto di un centrodestra unito: “Salvini è molto concreto e la Meloni per anni è stata con me al governo. Abbiamo un programma comune che firmeremo oggi o nei prossimi giorni. Se io non sarò al governo, ci sarà un premier capace di dirimere i contrasti. Io ho anche un nome nel cassetto“. L’ultima battuta è per il rivale di una vita: Carlo De Benedetti, autore poche ore prima di dichiarazioni al vetriolo contro Eugenio Scalfari e Mario Calabresi. “Con me non è stato sprezzante gli ho detto che volevo telefonare ai direttori dei suoi giornali per correggere alcune loro posizioni e lui mi ha detto fallo pure. Direi che ‘De minimis non curat praetor’, c’è gente che si diverte a fare battute come su Scalfari e chi come me che si mette a lavorare sodo”.