La notizia è dovunque: nasce Lea – Liberi Editori Autori, l’associazione che – forte delle nuove disposizioni legislative – si pone come alternativa concreta alla Siae. E io in Lea ci ho creduto ancora prima che nascesse, tanto è vero che ne sono stato uno dei fondatori.
Più volte ho scritto, su queste pagine, di diritti degli autori indipendenti: quella folla di artisti che raramente genera i numeri delle grandi star ma che, probabilmente, rappresenta la parte più vera e irrinunciabile della cultura musicale italiana. Il parametro con cui si misurerà il successo e il ruolo sociale di Lea sarà – secondo me – appunto la sua tutela degli indipendenti, e non soltanto dei fenomeni che fanno girare numeri enormi fornendo, come è ovvio, liquidità e benzina alla macchina.
Fino a pochi anni fa, il ruolo della Siae sembrava scolpito nella roccia, ma altrettanto lo era la sua immobilità, supponenza, assoluta impermeabilità al cambiamento e alla trasparenza. Adesso anche da quel lato vedo cambiare qualcosa, anche se in colpevole ritardo e forse solo come reazione all’emorragia di artisti (e di denaro…). Da questo punto di vista posso dire di essere già contento, di poter rivendicare a nome di tutti noi “ribelli” l’avere già raggiunto un primo obiettivo: quello di aver smosso l’elefante fondato da Giuseppe Verdi e, in buona parte, rimasto lì dov’era fin quasi ad oggi.
Certo, sempre parlando di Siae, mi fa un po’ sorridere leggere le loro accuse di una sorta di controllo nascosto da parte di Soundreef, loro che probabilmente su controlli e controllori avrebbero bisogno di fare un ricco esame di coscienza. Del rapporto tra Lea e Soundreef apprezzo, al contrario, la trasparenza. Lea non esisterebbe – o esisterebbe con un’importanza decisamente minore – senza il catalogo degli artisti Soundreef. Soundreef, dal canto suo, non potrebbe operare sul mercato italiano se non ci fosse Lea. Potrebbe sembrare un pasticcio all’italiana, e forse in parte lo è. Ma è un modo per tornare a parlare di autori, di rimetterci al centro della scena e di ricominciare a parlare dei nostri diritti.
A questo punto, se ci faremo fagocitare dalle logiche del profitto di aziende private, o schiacciare da vecchi elefanti e fantasmi del passato, sarà solo colpa nostra.