DARKEST HOUR – L’ORA PIÙ BUIA di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott-Thomas, Lily James GB 2017. Durata: 125’. Voto 3,5/5 (AMP)
Ingombrante è forse l’aggettivo più adatto a qualificare una figura come Winston Churchill laddove si vuole tentare di restituirla senza banalizzazioni. Se lecito era scegliere un momento della sua vita per catalizzarne la complessità, coraggioso è stato da parte di Joe Wright selezionare fra i tanti possibili proprio il più difficile, quello che precede la storica decisione di affrontare Hitler, determinando le sorti – a lui trionfanti – della II Guerra Mondiale. Pochi giorni di fine maggio 1940, addirittura una manciata di ore, oscure e tormentate, costituiscono dunque il cuore temporale del settimo lungometraggio del cineasta inglese che ha saggiamente indovinato come protagonista il migliore possibile. Gary Oldman, mimetico ma con personalità dentro l’ “ingombro” di cui sopra, offre una performance di una tale potenza da arrivare a sovrapporsi al film stesso, diventandolo. L’equivalenza non è estranea davanti a soggetti bigger than life, ma in questo caso è di portata gigantesca. Il film-controcampo di punti di vista del pure recente Dunkirk di Chris Nolan, rispetto al quale l’opera di Wright è agli antipodi cinematograficamente, è un affresco d’interni atto a contenere il corpo e la parola di Sir Winston, binomio da cui egli è imprescindibile per riconoscibilità (il primo) ed eccellenza (il secondo). La sua icona complessa e beffarda, acuta e non esente da fragilità (la scena nel bagno in cui parla al telefono nottetempo con Eisenhower vale gran parte del film) è esibita nella dicotomia di una figura contraddittoria estrema, anche nella percezione del proprio popolo che verso di lui conserva tuttora un immaginario eroico: non è azzardato che l’horror vacui politico ed identitario di cui soffre il Regno Unito contemporaneo richiami “in vita” i propri eroi in più opere così vicine, vedi appunto il caso curioso di Dunkirk e Darkest Hour. Film rigoroso (con bei momenti di ironia) sulla forza della retorica, sulle oscure manovre politiche e sul rapporto fra governanti e governati, L’ora più buia verrà comunque ricordato per lo più per l’interpretazione di Oldman, già vincitore del Golden Globe e quasi sicuro del prossimo Oscar da protagonista.