Non sono un’assistente sociale, una psicologa, né tantomeno sono un giudice. Parlo dunque semplicemente come giornalista che si occupa da anni di maternità e di infanzia, parlo come donna e madre. Ma da questo punto di vista non posso che giudicare come un atto ingiusto e violento quello di decidere, come ha fatto ieri la Cassazione, che il figlio di Martina Levato e Alexander Boettcher venga dato in adozione, con la conseguenza che nessuna persona della sua famiglia, né i genitori, né i nonni, potranno più vederlo.
Il primo motivo è che questo bambino non è un neonato, ha già due anni e mezzo, ha già conosciuto genitori e i nonni, ha già una memoria, ha già una storia. Darlo in adozione ora significherebbe strappare quei pur fragili legami che nel frattempo ha creato. Con conseguenze sicuramente devastanti, ammesso che si trovi una famiglia disposta ad adottarlo.
Il secondo motivo riguarda invece i genitori, soprattutto la madre. “I figli non si tolgono neanche ai mafiosi” aveva detto lo stesso pg della Cassazione a novembre, parlando dell’ipotesi di levare il bambino a genitori e nonni come un’ “operazione di genetica familiare”. Se non c’è dubbio che si tratti di due persone dalla personalità patologica e disturbata, questo non vuol dire che nei lunghissimi anni che dovranno scontare in carcere – hanno subito pene molto pesanti (14 più 23 anni lui, 20 lei) non in assoluto ovviamente, ma se confrontate con altre sentenze relative a stupri, omicidi e altri tipi di violenze fisiche – hanno e avranno la possibilità di riabilitarsi e cambiare, come hanno riconosciuto d’altronde gli stessi giudici. Un obiettivo, quello della riabilitazione, che è la stessa legge italiana ad assegnare alla detenzione. Togliere dunque per sempre un bambino a una detenuta significa distruggerla in ogni senso, farle perdere ogni ragione di vita, impedire qualsiasi cambiamento verso il meglio perché per cosa questa donna potrà riuscire ad andare avanti se non ha più nessuna ragione per cui vivere? Ma insieme a lei dando in adozione il bambino si uccideranno anche i nonni, che in questo piccolo avevano trovato una motivazione per andare avanti e forse non morire di dolore e disperazione.
I nonni, appunto. Terzo motivo. Questa sentenza affibbia loro una diagnosi di “fragilità emotiva di tipo narcisistico”, ma c’è da chiedersi sulla base di che, visto che queste due persone hanno dimostrato un attaccamento estremo a questo bambino, andandolo a visitare costantemente e chiedendone l’affido. Cosa perfettamente possibile, essendo relativamente giovani ed entrambi con lavoro dipendente. Dire che siccome hanno partorito un mostro allora sono essi stessi dei mostri, queste le accuse che circolano sul web, è un’accusa demagogica e sbagliata, e anche falsamente rassicurante, purtroppo il mondo è pieno di ottimi genitori e figli che si sono macchiati dei peggiori delitti.
E ancora. L’obiezione dei giudici è quella secondo cui il benessere del bambino deve venire prima. Un ragionamento sicuramente giusto in teoria, ma mi chiedo cosa sia stato fatto per trovare una soluzione armonica nei confronti di tutti. La legale del bambino, Laura Corsari, che ha dichiarato di voler ricorrere alla Corte Europea, aveva prospettato una possibile soluzione: Martina avrebbe potuto scontare la sua pena all’Iccm, l’istituto a custodia attenuata per le madri detenute di Milano, fino ai sei anni di età del bambino e poi eventualmente chiedere gli arresti domiciliari. Perché nessuno ha preso in considerazione questa ipotesi meno drammatica per un’intera famiglia? E come mai a uomini e donne che magari hanno commesso omicidi i figli non vengono tolti, non a caso esistono anche bambini che vivono in carcere con le loro madri colpevoli di reati anche gravissimi?
In definitiva, a leggere bene i fatti e le sentenze, non si può non notare un accanimento giudiziario non solo su Martina Levato e Alexander Boettcher, pure colpevoli di gravissimi reati, ma anche sulle loro famiglie. Il diritto del bambino esiste, ripeto, ed è assoluto quando c’è il rischio di violenza, maltrattamento e totale incapacità di cura da parte dei genitori sul bambino stesso. Ma esisteva questo rischio nel caso di un bambino affidato a dei nonni e solo in futuro a una madre probabilmente radicalmente cambiata, visto che questo, ripeto, dovrebbe essere l’obiettivo del carcere secondo la nostra legge? Tutti i giudici coinvolti in questa vicenda, dal Tribunale dei Minori alla Corte di Appello alla Cassazione, si sono trovati di fronte a un caso drammatico e a una situazione complessa e difficile. Tuttavia decidere di togliere semplicemente e per sempre un bambino da un nucleo familiare mi sembra la situazione più facile, una scorciatoia che punta i riflettori solo ed esclusivamente sul minore, ma non non sulla rete affettiva e familiare in cui nonostante tutto è di fatto inserito. E no, non mi sembra una decisione equa rispetto a tutte le persone in gioco in questa vicenda. Che, se pure colpevoli, hanno sempre diritti che andrebbero rispettati.