Quanti, il 20 gennaio 2017, avrebbero potuto prevedere eventi e carattere del primo anno di presidenza di Donald Trump? La campagna presidenziale – la battaglia politica e umana tra Trump e Hillary Clinton – era stata dura, insolita, esplosiva; il risultato elettorale era stato sorprendente. Ma pochi, il 20 gennaio 2017, quando Trump giurò per diventare presidente e parlò di “carneficina americana”, avrebbero potuto davvero prevedere gli eventi futuri. In un anno, Trump ha travolto buona parte delle consuetudini politiche di Washington; ha fatto esplodere tensioni etniche e sociali sopite per anni; è stato accusato di infedeltà ai principi fondanti della nazione; ha insultato, su Twitter, almeno 424 tra persone, istituzioni e luoghi; ha raggiunto il record delle 2000 menzogne; ha riportato in auge la minaccia nucleare; ha sollevato un’onda di ammirazione sconfinata tra i suoi sostenitori; ha fatto sorgere dubbi sulla sua salute mentale.
E’ stata davvero una “carneficina”, quest’ultimo anno, ritmato da migliaia di tweet, insulti, proclami, battute, giri di valzer (l’ultimo: “Non sono razzista”, dopo essersi scatenato contro i “cessi di Paesi” e chiesto più immigrati dalla Norvegia). Tutti i mezzi tradizionali per giudicare un presidente e la sua azione – numero di leggi approvate, dati economici, percentuali di popolarità – sono stati cancellati da una tempesta politica continua, da polemiche senza capo né coda, dal caos che dalla Casa Bianca si è allargato al Congresso e poi all’America e infine al mondo. Niente, alla fine, è stato risparmiato dalla retorica esplosiva di Trump: partiti, legislativo, Corte Suprema, alleati storici, stampa, Cia e FBI. Niente è stato risparmiato a Trump: dalle accuse di follia a un’indagine giudiziaria che insinua il dubbio del crimine peggiore di cui un presidente può essere accusato: il tradimento.
Comunque la si voglia giudicare, la presidenza di Donald Trump, dopo un anno, è già “storica” – e non solo per i dati caratteriali e umani di questo presidente. A un anno dalla sua elezione, Trump ha già prodotto un sostanziale slittamento in senso conservatore del Paese. Le sue nomine di giudici – 12 solo per le corti d’appello – sono destinate a rimodellare il panorama civile e sociale degli Stati Uniti nel prossimo mezzo secolo. Il “Tax Cuts and Jobs Act” firmato lo scorso dicembre introduce i più consistenti tagli alle tasse degli ultimi trent’anni e, nelle intenzioni di Trump e dei repubblicani, dovrebbe produrre crescita economica, posti di lavoro, una fase di nuova prosperità per le famiglie americane. Un’oscura legge, rimasta a lungo inutilizzata, il “Congressional Review Act”, è stata utilizzata per cancellare decine di regolamentazioni introdotte durante i mesi finali dell’amministrazione Obama: sono spariti i limiti alla vendita di armi per le persone con problemi di salute mentale; è stato reso più difficile promuovere class actions contro le istituzioni finanziarie; sospese molte delle protezioni per la privacy dei consumatori che navigano in Rete. L’Environmental Protection Agency, affidata a un negazionista dei cambiamenti climatici come Scott Pruitt, ha intanto cominciato a smantellare le norme in tema di emissioni inquinanti, pesticidi, scarico nei fiumi.
La dottrina dell’America First, sbandierata in campagna elettorale, è diventata dottrina ufficiale di questa amministrazione. Un sistema di alleanze costruito e implementato da decenni è venuto improvvisamente giù. Trump ha fatto uscire gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi. NAFTA e intesa sul nucleare iraniano, se pure non esplicitamente denunciati, sono stati di fatto indeboliti da continui attacchi e messe in discussione. I vecchi alleati sono stati più o meno scaricati (celebre il “Pensi al suo terrorismo” lanciato contro un’attonita Theresa May); lodi sperticate sono state riservate per gli antichi nemici, da Vladimir Putin a Xi Jinping. I vicini hanno subito una valanga di insulti e avvertimenti – sul Messico pesa ancora la minaccia del “grande, bellissimo Muro”. In soffitta è finita quasi ogni regola di concertazione internazionale: l’ambasciata USA è stata spostata unilateralmente a Gerusalemme. Interi continenti sono stati risucchiati in una sola definizione spregiativa (appunto, “cessi di Paesi”) e gli Stati Uniti hanno, di fatto, abbandonato il ruolo di guida e guardiano del mondo.
Soltanto gli storici di domani potranno dire se la presidenza di Donald Trump mette fine al “secolo americano” e inaugura nuovi equilibri, alleanze, poteri globali. Certo è, come ha scritto un giornalista di oggi, David Cay Johnston, che “la presidenza Trump riguarda solo Trump”. Tutto è stato annullato dagli interessi e dalla personalità del presidente. Decine di funzionari di carriera del Dipartimento di Stato, della giustizia e dell’agenzia ambientale hanno rassegnato le dimissioni. I collaboratori hanno cercato di attenuare, attutire, correggere, per poi restare attoniti di fronte all’ultima scarica di tweet mattutini in uscita dalla Casa Bianca (l’ultima vittima è il chief of staff, l’ex generale John Kelly, che ha cercato di buttare acqua sul fuoco dell’annunciato Muro con il Messico, spiegando che “Trump non aveva tutti gli elementi per decidere”. Qualche momento dopo, il presidente reiterava con annunci roboanti la promessa costruzione del Muro). Irascibile, compulsivo, vendicativo, protettivo con gli amici, implacabile con i nemici, familista, seduttivo, dirompente, bugiardo, distruttivo, Donald Trump è fonte di paradossi senza fine. Il suo tasso di popolarità è bassissimo, il 32 per cento, pur in presenza di un’economia scoppiettante e di un’occupazione pressoché totale. Se per alcuni è il simbolo della dittatura che sta avvolgendo l’America, il fantasma che si aggira sul futuro della democrazia, per altri è una promessa di vita, futuro, libertà, felicità.
A un anno dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, regnano confusione e incognite. Non si sa cosa succederà all’inchiesta sul Russiagate. Non si sa se ci sarà l’impeachment. Non si sa come finiranno le elezioni di medio termine. Non si sa come evolverà il partito repubblicano. Non si sa che fine farà il movimento conservatore e populista e nazionalista dopo la rottura con Steve Bannon. Non si sa nulla di alleanze internazionali ed equilibri nucleari. Donald Trump continua per la sua strada, senza limiti, pentimenti, interessi – se non se stesso e il proprio destino. L’America e il mondo tengono il respiro. Il secondo anno, se possibile, promette di essere ancora più confuso e devastante del primo.