Pier Ferdinando Casini si prenderà qualche giorno di tempo per rivedere, limare e amalgamare il testo e arrivare così a una relazione finale condivisa da tutte le forze politiche. Un testo figlio dell’ipocrisia perché una buona parte di quelle “proposte” erano in campo da anni e non sono state tradotte in leggi
La farsa della Commissione d’inchiesta sulle banche sta arrivando all’atto finale. Dopo tutte le polemiche dei mesi scorsi, le forze politiche hanno trovato un accordo sulla relazione conclusiva che consegnerà al prossimo parlamento alcune indicazioni di lavoro che – come recita la pubblicità di un noto aperitivo analcolico – sono “zero impegnative”. Siamo in piena campagna elettorale e “fare proposte” costa anche meno che fare promesse di cui un domani qualcuno potrebbe chiedere conto. Così i maggiori partiti hanno presentato delle proposte sostanzialmente convergenti sui punti principali: la necessità di istituire una procura nazionale o una procura speciale che si occupi di reati finanziari e quella di rendere più efficace il dialogo e gli scambi di informazioni tra le autorità di vigilanza, norme più stringenti sui conflitti d’interesse e per contrastare il fenomeno delle “porte girevoli” tra controllori e controllati, la necessità di separare le banche commerciali dalle banche d’investimento e tante altre belle e utili cose.
Il presidente della Commissione, Pier Ferdinando Casini, si prenderà qualche giorno di tempo per rivedere, limare e amalgamare il testo e arrivare così a una relazione finale condivisa da tutte le forze politiche. Un testo figlio dell’ipocrisia perché una buona parte di quelle “proposte” erano in campo da anni e non sono state tradotte in leggi e a ben guardare poco e nulla è stato fatto in termini di tutela del risparmio dai governi e delle maggioranze parlamentari che si sono succedute dai crac Cirio e Parmalat a oggi. La relazione finale della Commissione d’inchiesta sulle banche sarà però utile a tutti i partiti nel corso della campagna elettorale perché consente di mettere la propria bandierina, di dire che su questi temi si è lavorato (per tre-quattro mesi) e che “grazie anche al vostro voto” nella prossima legislatura potremo tradurre queste proposte in leggi. Una presa in giro colossale, come quella della scatoletta di pelati Cirio sulla scrivania di Giulio Tremonti al ministero dell’Economia o del Pierluigi Bersani segretario del Pd che plaudiva alla proposta di Confconsumatori di istituire una procura nazionale per i reati finanziari: il Pd ha governato ininterrottamente dal 2013, ma la procura nazionale non risulta pervenuta nemmeno a livello di proposta legislativa.
In compenso abbiamo visto come è stata gestita l’introduzione del bail-in e come sono state gestite le crisi bancarie e i conflitti d’interesse nell’ambito dello stesso governo. La maggior parte delle forze politiche si è limitata a presentare alcune proposte: pochi punti chiari, il minimo garantito per assicurare argomenti efficaci in campagna elettorale senza esporsi troppo. Il Movimento 5 Stelle, invece, ha voluto strafare. Segno che il tema banche verrà sfruttato il più possibile in chiave elettorale, anche se non si sa con quanto successo data la manifesta irrealizzabilità, per non dire assurdità, di alcune proposte, quali ad esempio la nazionalizzazione di Borsa Italiana, società privata che appartiene al London Stock Exchange. A sostegno della nazionalizzazione si asserisce che “il controllo pubblico di Borsa Italiana rappresenta altresì una garanzia contro illeciti tentativi di speculazione verificatesi negli ultimi anni in diversi ambiti borsistici”. Una palese assurdità, tanto più che in un passato nemmeno tanto remoto la Borsa era a controllo pubblico (il sistema delle Borse valori dipendeva dalle Camere di commercio) e ciò non ha certo impedito “illeciti tentativi di speculazione”, anzi. Per non parlare della proposta che il ministero dell’Economia possa intervenire direttamente nelle crisi bancarie con la nazionalizzazione, cosa del tutto in contrasto con le regole europee, o ancora dell’istituzione di un fondo di garanzia presso ogni Autorità di vigilanza alimentato da “almeno” il 30% dei compensi degli esponenti delle Authority “a titolo di garanzia per eventuali azioni di responsabilità, per ogni altro genere di risarcimento danni derivante da violazioni di carattere normativo o regolamentare ovvero per il versamento degli importi dovuti a seguito dell’applicazione di eventuali sanzioni amministrative”. Follie da campagna elettorale, almeno si spera.