Quando all’inizio dello scorso giugno hanno decretato lo Stato di crisi col Qatar, le autorità dell’Arabia Saudita hanno chiesto ad alcune personalità influenti di sostenere sui social media la posizione del governo.
Salman al-Awda, un influente esponente religioso considerato tra i “riformatori”, ha fatto l’esatto contrario. Ha pubblicato un tweet che recita più o meno così: “Possa Allah portare armonia nei loro cuori, verso il meglio per i due popoli”.
Considerato che Salman al-Awda ha qualcosa come 14 milioni di follower, il suo tweet non ha lasciato indifferenti le autorità saudite. Così, il 7 settembre lo hanno arrestato. Fino al 15 gennaio è stato tenuto in isolamento, senza alcun contatto col mondo esterno se non una breve telefonata alla famiglia a ottobre.
Il 16 gennaio i suoi parenti hanno appreso di un suo improvviso ricovero in ospedale, per motivi sconosciuti.
In carcere si trova anche Khalid al-Awda, fratello di Salman, per un tweet in cui aveva protestato per l’arresto di quest’ultimo. Tutti gli altri familiari sono strettamente controllati e non possono viaggiare all’estero.
A settembre ci sono stati almeno 20 arresti di dissidenti, tra i quali scrittori, giornalisti, docenti universitari e attivisti.
Una settimana fa gli esperti delle Nazioni Unite sui diritti umani hanno chiesto il rilascio di tutte le persone detenute o condannate per aver esercitato pacificamente il loro diritto alla libertà d’espressione in quello che hanno definito “un preoccupante modello di arresti e detenzioni arbitrari, diffusi e sistematici”.