Un nuovo processo con l’accusa di concorso esterno a Cosa nostra. Lo ha ordinato la corte di Cassazione annullando con rinvio la sentenza emessa nei confronti del senatore di Forza Italia, Antonio D’Alì. Nel settembre del 2016 la corte d’Appello dichiarò assolto l’esponente del partito di Silvio Berlusconi per le contestazioni successive al 1994 e prescritti i reati a lui imputati nel periodo antecedente a quella data. I giudici avevano confermato la decisione del gup che aveva celebrato il processo in primo grado con il rito abbreviato.

 Come ha raccontato ilfattoquotidiano.it la prescrizione era scattata perché per la corte d’appello di Palermo il senatore ha contribuito al rafforzamento di Cosa nostra almeno fino al 1994. E lo ha fatto “con coscienzavolontà“. Una serie di collaboratori di giustizia, invece, parlavano della sua “piena disponibilità nei confronti dei massimi esponenti della mafia trapanese”. Una disponibilità che non è legata ad alcun patto siglato con i padrini, i quali, in ogni caso, gli hanno dato il loro “appoggio elettorale” ai tempi della prima candidatura al Senato.

Dopo l’elezione a Palazzo Madama nel 1994, “appoggiata elettoralmente dall’associazione mafiosa”, per i giudici non era stato provato che D’Alì continuò ad avere dei legami con Cosa nostra, dopo la sua entrata in Senato. “L’accertata condotta illecita posta in essere dall’imputato non risulta seguita da alcuna condotta che possa essere significativamente assunta come sintomatica della volontà dell’imputato di permanere, sia pure come extraneus, nell’associazione mafiosa, fornendo un contributo al rafforzamento della stessa”,  si legge nelle motivazioni della sentenza d’Appello depositate nel dicembre del 2016.

Per i pm, il senatore trapanese avrebbe avuto rapporti con le cosche e con esponenti di spicco dell’organizzazione come il superlatitante Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga e Francesco Pace, fin dai primi anni ’90, e avrebbe cercato l’appoggio elettorale delle “famiglie“.  Il politico avrebbe poi svolto un ruolo fondamentale nella gestione degli appalti per importanti opere pubbliche, dal porto di Castellammare del Golfo agli interventi per l’Americàs Cup. Dei presunti collegamenti di D’Alì con le cosche hanno parlato vari pentiti tra cui Antonino Giuffrè, Antonio Sinacori, Francesco Campanella e da ultimo don Ninni Treppiedi e Antonino Birrittella, ritenuti attendibili dai giudici d’appello.

A maggio scorso, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza di secondo grado, la dda di Palermo chiese per lui la misura di prevenzione del soggiorno obbligato ritenendolo “un soggetto socialmente pericoloso“. Il procedimento di prevenzione è ancora in corso. Fu lo stesso politico ad annunciare la richiesta dei magistrati e contestualmente la sua decisione di ritirarsi dalla campagna elettorale che lo vedeva impegnato nella corsa a sindaco di Trapani.

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