Cinema

“Tutto davanti a questi occhi”, se ritorna la “razza bianca” niente deve essere dato per scontato

Walter Veltroni presenta il suo nuovo film. La testimonianza di Sami Modiano, da Rodi agli escrementi presenti nella stiva del vascello destinato al bestiame nel quale fu imbarcato. Poi sui vagoni piombati fino al campo di Birkenau. 73 anni dopo, quando il candidato favorito per la guida della Lombardia arriva a essere felice dei voti che otterrà parlando di razze, torna a essere utile guardare gli occhi di un signore di 87 anni

di Marco Lillo

Serata importante ieri all’Auditorium di Roma. L’ex leader del Pd ed ex sindaco di Roma Walter Veltroni, da anni regista e autore tv, ha presentato Tutto davanti a questi occhi. Prodotto da Palomar di Carlo Degli Esposti e da Sky, il documentario è sostanzialmente una lunga, intensa intervista di Veltroni a Sami Modiano, 87 anni, sopravvissuto ai campi di sterminio di Birkenau e Auschwitz. Veltroni ha semplicemente mostrato il racconto di Modiano preceduto dalle immagini dei campi e seguito dagli sguardi degli studenti che li hanno visti. In un clima di sospensione della campagna elettorale e di unione tra diversi schieramenti culturali, hanno guardato il documentario ieri all’Auditorium il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il sindaco di Roma Virginia Raggi, il ministro della cultura Dario Franceschini, l’ex sottosegretario Gianni Letta, e poi tanti giornalisti, dal direttore di Repubblica Mario Calabresi a quello dell’Ansa Luigi Contu, da Corrado Formigli a Massimo Giannini. C’era il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni e la Presidente della comunità ebraica capitolina Ruth Dureghello che ha ringraziato Mattarella per la nomina a Senatrice a Vita della testimone della Shoah Liliana Segre. E c’era soprattutto lui: Sami Modiano, sopravvissuto a Birkenau e ad Auschwitz. Tutto davanti a questi occhi sarà trasmesso a reti unificate da Sky TG24 e Sky Cinema Hits, Rai 3, Iris e LA7 il 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria.

Nel 2005 Veltroni, da sindaco di Roma, convinse Modiano a tornare con l’amico e compagno di detenzione Piero Terracina ad Auschwitz per accompagnare le scuole romane nel loro viaggio della memoria. Da allora Modiano è tornato più volte anche con il sindaco Virginia Raggi, insieme ai ragazzi romani sui luoghi dello sterminio. Modiano, come racconta nel film, dopo quel viaggio con Terracina e Veltroni, ha fatto dei viaggi una ragione di vita. Non solo perché così tramanda il ricordo di quanto ha visto, appunto, con i suoi occhi. Non solo per evitare che si disperda la memoria ma anche per dare un senso alla sua sopravvivenza. Un senso di colpa per noi incomprensibile ma che Modiano sente da quando ha perso il padre e la sorella a Birkenau.

Veltroni aveva intervistato Modiano per un altro film del 2017, Indizi di felicità, nel quale la storia di Sami era uno dei tanti racconti che componevano l’opera. La scelta di isolare ed espandere quel racconto facendone un documentario a sé è felice. La testimonianza di Modiano parte da Rodi dove il 23 luglio 1944 i nazisti prelevarono tutti gli ebrei presenti sull’isola, allora italiana. Prosegue tra gli escrementi presenti nella stiva del vascello destinato al bestiame nel quale furono imbarcati come animali. Poi sale sui vagoni piombati e arriva al campo di Birkenau, il 16 agosto 1944. Poi la separazione degli uomini dalle donne, le botte al padre che tentava di trattenere con sé la bellissima sorella 16enne di Sami, Lucia. Il racconto di quando, attraverso il filo spinato che separava maschi e femmine, riuscì a farle arrivare la sua razione quotidiana di una fetta di pane e lei la rispedì al fratello insieme alla sua. La scomparsa della sorella Lucia. Poi l’orgoglio con il quale Sami Modiano mostra il suo numero di matricola “B7456“, un numero in più di quello del padre, che prima di morire gli disse: “Tieni duro Sami, tu devi farcela”. Ancora, l’amicizia con Piero Terracina, la liberazione. L’amore della moglie Selma che da 60 anni cura le ferite della sua anima. L’intervista è lunga ma non c’è un solo sguardo, una sola parola di troppo. Il trionfo di buoni sentimenti sullo schermo e le ovazioni trasversali in platea potrebbero essere viste come un trionfo del politically correct o una banale ricerca del consenso facile. Ma 73 anni dopo, quando il candidato favorito per la guida della Regione più ricca e importante d’Italia arriva a parlare di ‘razza bianca’ e a essere felice dei voti che otterrà grazie a quella espressione, nulla deve essere più dato per scontato. Torna a essere utile portare in una sala le massime autorità istituzionali, i giornalisti, i vertici delle Forze Armate e le scolaresche per guardare negli occhi un signore di 87 anni.

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