L'associazione dei consumatori denuncia che se le condizioni contrattuali sono le medesime per tutti gli operatori, il consumatore, anche se volesse cambiare operatore, non potrebbe mai trovare offerte diverse e più vantaggiose
Il Codacons ha inviato un esposto all’Antitrust contro Tim e Vodafone, “colpevoli di aver aumentato quasi contemporaneamente e nella identica misura le tariffe praticate ai propri clienti, di fatto annullando del tutto i vantaggi determinati dallo stop alle bollette ogni 28 giorni“. Lo riferisce una nota dell’associazione dei consumatori, sottolineando di aver chiesto l’apertura dell’indagine per verificare “l’esistenza di un cartello tra operatori” e accertare “la correttezza dell’operato delle compagnie telefoniche” rispetto alla normativa vigente in materia di concorrenza.
Tim e Vodafone, “pur tornando alla fatturazione mensile, sembrerebbero aver confermato l’aumento delle tariffe (di una percentuale pari all’8,6%) già avvenuto in forza del passaggio alla fatturazione a 28 giorni, richiedendo ai loro utenti lo stesso canone annuo spalmato su 12 mensilità, anziché 13“, si legge nel testo inviato dall’associazione all’Antitrust. “Indubitabilmente – prosegue l’esposto – tale aumento finisce per determinare una modifica in peggio delle condizioni economiche del contratto, rispetto a quelle sottoscritte dal cliente all’atto della conclusione dell’accordo”. Secondo il Codacons, la pratica commerciale di Tim e Vodafone “sembrerebbe doversi considerare una strategia collusiva improntata a un’imposizione unilaterale di vantaggiose condizioni contrattuali in danno dei consumatori, idonea a privare questi ultimi di qualsivoglia alternativa per la garanzia dei propri interessi”, aggiunge l’associazione dei consumatori.
Il testo presentato dall’associazione sottolinea, inoltre, che “è di tutta evidenza che se tutti o quasi gli operatori di mercato apportano contestuali e sostanzialmente identiche variazioni dei regolamenti contrattuali, applicando condizioni e livelli di prezzi al pubblico assolutamente corrispondenti, il diritto di recesso, l’unico strumento posto a garanzia della libertà di scelta e delle prerogative della parte contrattuale strutturalmente più debole, è di fatto negato: se le condizioni contrattuali sono le medesime per tutti gli operatori, il consumatore, sia pure recedendo dal vincolo che lo lega ad uno di essi, non potrebbe mai trovarne di diverse e più vantaggiose“.
“Il contestuale e medesimo aumento delle tariffe al pubblico – prosegue l’esposto -, posto in essere dalle principali compagnie telefoniche nazionali, rappresentative di una quota di mercato indiscutibilmente rilevante, sembrerebbe integrare un’intesa orizzontale volta al coordinamento delle rispettive politiche commerciali di prezzo, suscettibile di determinare restrizioni particolarmente gravi della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), oltre che di vanificare gli interventi legislativi e le indicazioni dell’Autorità, in termini di tutela delle libertà fondamentali degli utenti”.