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Ecco perché adesso non conviene far incazzare Cristina D’Avena

Controcorrente, provocatrice, cinica fino all'eccesso, Martina Dell'Ombra è diventata un caso mediatico nel 2015, quando le sue opinioni certamente non convenzionali hanno cominciato a diffondersi a macchia d'olio sui social network. Quella di Martina con FQMagazine è una collaborazione ad alto tasso di corrosivo e disturbante sarcasmo

di Martina Dell'Ombra

Che Orietta Berti fosse il male lo sapevamo già da quando ci illuse che “quando l’amore viene il campanello suonerà”, senza dirci che il citofono era rotto dal 1963. Ma ciò che nessuno di noi, stolti e ingenui, aveva capito è che Orietta Berti fosse il Montecristo di piazzale Mazzini, la Lady Macbeth degli studi M2-M3 di via Mecenate, la crudelissima Lucrezia Borgia formato famiglia prendi 4 paghi 2. Perché la placida Orietta, lungi dall’essere quella rassicurante donnone che ricorda, a tutti, almeno una zia o, nei casi più sfortunati, la nave scuola adolescenziale, è, soprattutto una fine stratega prestata al male supremo: la televisione.

Ma cosa ha fatto il mondo per trasformare una dolce e delicata fanciulla emiliana nella personalità politica più temuta in Italia, dopo Adinolfi? Orietta, innanzitutto, nasce con l’elegante cognome “Galimberti”, come il fine filosofo, di cui ne condivide la sottile ed acuta intelligenza, ma il vezzo dura poco perché il cognome viene presto tramutato, con la violenza dell’indice di gradimento popolare, nel più banale e rozzo “Berti”, sintomo premonitore del futuro che la attendeva.  Il primo soprannome che le viene assegnato è il gentile ” usignolo”, e nessuno capirà mai perché, con gli anni, sia stato sostituito da “ capineira”, che è sì, pur sempre un uccello, ma più che Cenerentola ricorda una balera di periferia dove servono capiroske alla fragola a un euro l’una.

Orietta, nonostante questo, parte alla grande: caschetto nero, eye-liner perfetto, maglioncini collo alto anno ’60, voce delicata, insomma il massimo della classe. Ed inizia con autori e canzoni di tutto rispetto, pietre miliari, romantiche romanze e swing dall’aura esotica. Insomma, la cantante di Cavriago, in Emilia, ha un roseo futuro davanti a sé come stella della musica italiana raffinata nel mondo, sarebbe potuta diventare Mina, prima di Mina, anche perché di certo una di Cavriago non si fa mettere i piedi in testa da una borgatara di Busto Arstizio.

Finché, un giorno, non avviene l’incontro, che cambia il suo destino di donna matura per sempre: Fabio. Fabio, l’uomo che mise dei pesci tropicali nel suo studio per dimostrare ai telespettatori di non essere un fermo immagine, Fabio, l’incrocio genetico tra Alberto Angela ed un reperto fossile, Fabio, l’uomo che, con un solo gesto della mano può suscitare indignazione su ben 7 giornali diversi, ecco Fabio, quando incontra Orietta, se ne innamora. Ma sa che la donna, così piena di spirito, lo lascerà presto, per ritirarsi ad una discreta vita privata, come si addice ad una signora aggraziata come lei. Fabio non ci sta ed allora, in preda alla disperazione, decide di impagliarla, come un comodo gufo da comodino. La convince che il capello gonfio, rosso e laccato torni di moda ogni anno, le ricicla i vestiti della sua nobile nonna Antonietta, che poi in realtà sono della cognata della suocera della sarta della Rai, che vive ad Ariccia, e la fa accomodare alla sua tavola rotonda, lasciandola lì a cornacchiare come un simpatico Anacleto, mentre lui ed i suoi cavalieri disquisiscono di alte questioni filosofiche come la temperatura ideale per dettare i termosifoni d’inverno. E così Orietta rimane intrappolata, per anni, nella sua pelle da gufo, mentre Mina diventa un’icona mondiale vivente, attraverso la saggia decisione di sparire dalle scene prima di diventare un’aquila imbalsamata da salotto.

Ma sotto la cotonatura lo sguardo truce di Orietta tramava qualcosa. Il suo spirito sanguinario si faceva strada nelle retrovie della sua mente astuta. E così iniziarono i sottili ammiccamenti a Di Maio, nei camerini. Gli sgambetti a Renzi, giusto prima di entrare in scena. Le battute maliziose su un possibile rapporto saffico con la Raggi. In questi anni di risatine isteriche e squillanti, apparentemente senza senso, Orietta ha tessuto la sua sottile vendetta, pronta a servirla fredda nell’ora del giudizio, le elezioni, ed ha assestato il colpo finale: la dichiarazione di voto pro 5 stelle. E così, più mortale del colpo mortale della nobile scuola di Hokuto, più potente di razzo atomico di Kim Jong Un, più intimamente lacertante della mancata qualificazione dell’Italia ai mondiali, la mossa di Orietta ha colpito il cuore più profondo della popolazione, dell’Italia, del PD: Fabio Fazio. E scatenato una guerra civile che non si vedeva almeno dai tempi in cui una legislatura riusciva a finire così come era iniziata.

È questa, la terribile vendetta di Orietta contro il Paese Italia, questo l’anatema che ha lanciato su di noi l’avido genio del male, per vendicarsi per sempre per tutte le umiliazioni a cui l’abbiamo obbligata per anni, per tutte le volte in cui abbiamo detto ad un’amica vestita male “sembri Orietta Berti”, per ogni singola occasione in cui abbiamo pensato “ma questa ancora qui sta”, e per chiunque abbia insinuato “vabbè, ma ha fatto solo una canzone famosa e sembrava pure la sigla di un cartone animato”. Ecco, non era la sigla di un cartone. Era il requiem funesto della nostra fine. Note per il futuro prossimo: non fare mai incazzare Cristina D’Avena.

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