Intervista ad Angelo Chessa, figlio di Ugo, comandante del traghetto andato a fuoco al largo di Livorno nel 1991: "Della relazione non mi stupisce niente, sono le cose che diciamo dal 1995. Ora l'ipotesi è riprovare la strada del penale. Di sicuro ci avviamo a una nuova fase giudiziaria"
Della Procura di Livorno non si fida più. Ma anche a distanza di 27 anni potrebbe non essere abbandonata la strada dello sbocco penale del disastro del Moby Prince. Però, dopo tutto questo tempo, c’è chi deve smettere di nascondere la verità. Lo dice Angelo Chessa, uno dei figli di Ugo, il comandante del traghetto che il 10 aprile 1991 si incendiò a poche miglia dal lungomare di Livorno dopo una collisione con una petroliera Agip all’ancora. Angelo, chirurgo specializzato in ortopedia a Milano, al tempo della strage di Livorno aveva 25 anni: stava finendo l’università. Seppe dell’incidente dai tg del mattino. Ma ancora non sapeva che quella volta Ugo aveva portato con sé anche Maria Giulia, la moglie, la mamma di Angelo e di suo fratello Luchino.
Angelo Chessa, la relazione della commissione è la fine della storia dopo quasi 27 anni?
Si chiude un ciclo e se ne apre un altro.
In che senso?
Si chiude un ciclo di ambiguità, bugie, mezze verità durato oltre 25 anni. Si apre un ciclo nuovo, anche giudiziario che non sappiamo dove ci porterà. Sono aperte tutte le strade.
Anche quella penale?
Lo decideranno i nostri avvocati, ma ovviamente in quel caso sicuramente non a Livorno.
Cosa l’ha stupita, cosa l’ha colpita come elemento di novità, che è finito nero su bianco nel lavoro della commissione?
Non mi stupisce niente perché sono le cose che diciamo dal 1995: che non c’era la nebbia, che il traghetto ha cambiato rotta all’improvviso (o per un’avaria o per un ostacolo che poteva essere una bettolina), che i tempi di sopravvivenza non potevano essere solo di mezz’ora.
La relazione ricostruisce molto bene il prima e il dopo dell’impatto. Manca, non per colpa dei senatori, una parola definitiva sulla causa principale della collisione che la commissione indicano come la deviazione improvvisa ma non riescono a definire meglio. Lei che idea si è fatto?
Che è stata appunto una turbativa della navigazione che ha costretto il traghetto a cambiare rotta. La commissione forse si aspettava qualcosa di più dalle perizie tecniche su questo aspetto. Ma tutto, anche questo, si potrà chiarire meglio solo con una nuova fase giudiziaria.
Tra i protagonisti di questa storia c’è ancora qualcuno che non dice tutta la verità?
Vuole tutta la lista?
Provi.
Ciro Di Lauro (il nostromo che manomise il relitto mentre era sequestrato, ndr). Valentino Rolla (terzo ufficiale della petroliera, che ha sempre parlato di nebbia addossandosi le colpe di non aver acceso il radar, ndr). Ma anche vari testimoni oculari, anche tra i soccorritori, che hanno raccontato il falso.
Si dice spesso che le commissioni d’inchiesta in Italia non servono a niente. Si aspettava questo risultato due anni fa?
Sa, le carte processuali erano così chiare che anche 20 senatori a digiuno assoluto su una vicenda così complessa hanno potuto capire subito che le ricostruzioni dei tribunali erano del tutto false. Dopo 6 mesi di lavoro si erano già accorti che c’era qualcosa che non andava.