Le conclusioni della commissione d'inchiesta sulla dinamica del disastro. L'ultimo cono d'ombra resta sul motivo per cui la nave Moby virò a destra. L'esplosivista ai senatori: "Esplosione a bordo, ma non era una bomba". L'alternativa resta quella di una bettolina che fece da ostacolo improvviso. Il comandante mise in retromarcia per allontanarsi dall'Agip Abruzzo
La visibilità ottima e senza nebbia, il caos totale dei soccorsi, le verità nascoste da alcuni protagonisti della storia. La relazione della commissione d’inchiesta sul disastro del Moby Prince ricostruisce quasi interamente sia il prima sia il dopo la collisione, avvenuta alle 22,25 del 10 aprile 1991 a poche miglia dal porto di Livorno. E, per la prima volta, individua anche il motivo per cui un traghetto comandato da un capitano di esperienza e professionalità riconosciute, come Ugo Chessa, sia finito contro una petroliera (una nave enorme) poche miglia dopo aver mollato gli ormeggi: secondo le conclusioni, votate all’unanimità, il Moby Prince ha dovuto deviare all’improvviso, finendo contro la cisterna 7 della Agip Abruzzo, in cui si trovavano 2600 tonnellate di petrolio greggio di tipo iranian light. Quale sia quella ragione non si sa ed è davvero l’ultimo cono d’ombra di questa storia. Non sono venute in aiuto dei commissari neanche le relazioni tecniche di Antonio Scamardella (docente di tecniche della navigazione). Dall’altra parte il perito esplosivista incaricato dalla commissione, il maggiore Paride Minervini, ha escluso che nel locale motori di prua ci fosse un ordigno, come era stato ipotizzato anche in base ad alcuni appunti dell’allora capo della polizia Vincenzo Parisi (che parlavano a più riprese di esplosivo ad uso civile) forniti alla commissione dall’allora ministro dell’Interno Vincenzo Scotti. Una bomba che avrebbe allarmato il comando del Moby e forse avrebbe provocato un’avaria.
Così resta in piedi l’ipotesi alternativa della bettolina, magari impegnata in attività non lecite proprio con la petroliera: il Moby se la sarebbe trovata improvvisamente davanti, virando a dritta, così come sono stati trovati i timoni.
Una cosa è certa: l’equipaggio del Moby Prince, dal comandante all’ultimo marinaio, fece di tutto per mettere in salvo i passeggeri e per allungare il più possibile la sopravvivenza a bordo. Chessa, il capitano, dette l’ordine di mettere motori indietro in modo da disincagliare la prua del Moby dalla cisterna dalla quale usciva petrolio e anche spingere le fiamme verso prua per mettere in salvo chi si trovava a bordo del traghetto. Non bastò.
E quindi ecco, indicativamente, la ricostruzione della commissione d’inchiesta di ciò che successe il 10 aprile 1991 al largo di Livorno.
22.03 – Il Moby Prince lascia la banchina, alla calata 55, dove aveva attraccato il giorno prima di ritorno da Olbia. La destinazione è proprio la città sarda. E’ una rotta fissa per il traghetto Moby.
22.14 – Romeo Ricci, dalla torre dell’avvisatore Marittimo vede passare il Moby Prince e annota l’uscita dal porto. Nello stesso momento entra la nave Atlantic Horizon. L’incrocio tra le due navi avviene in sicurezza, le comunicazioni sono perfette. Ricci annota che il Moby Prince mette la prua a 220/225 gradi in uscita.
22.15 – Il Moby Prince entra in avamporto. Sia il comandante Ugo Chessa sia il pilota del porto Federico Sgherri (salito una ventina di minuti prima) notano le luci delle numerose navi alla fonda di fronte al porto. Tra queste c’è l’Agip Abruzzo.
22.16 – I comando sono tutti impostati in modalità manuale. Le manovre sono eseguite dal timoniere Aniello Padula, marinaio di comprovata esperienza. Sul ponte di comando con il comandante Chessa ci sono anche il marconista Giovanni Battista Campus e un altro ufficiale di coperta al radar.
22.17 – Il Moby Prince dovrà doppiare diverse navi: la petroliera Agip Napoli, due navi militarizzate americane di rientro dal supporto logistico all’esercito dopo la fine della prima Guerra del golfo e infine l’Agip Abruzzo.
22.20 circa – La prua del Moby Prince lascia le acque portuali e entra in acque libere, in rada. La rotta seguita ordinariamente per Olbia prevede che il traghetto si allarghi per Capraia con rotta sui 220 gradi per poi portarsi sui 191 gradi accostando a sud per presentarsi a traverso delle Bocche di Bonifacio e proseguire fino a Olbia. E così è anche il 10 aprile, come conferma il racconto del pilota del porto Sgherri che, una volta sceso, vede il Moby accostare a sinistra.
22.20 – La posizione di fonda dell’Agip Abruzzo, pur in una zona di divieto di ancoraggio, non confligge con la rotta del Moby Prince (e di tutti i traghetti da e per la Sardegna).
22.20-22.23 – Il marconista Giovanni Battista Campus cerca di mettersi in contatto con la stazione di Livorno Radio per effettuare una telefonata ad Olbia. A bordo l’atmosfera è di totale tranquillità.
22.21 – Ricci, dall’Avvisatore Marittimo, vede la sagoma del Moby Prince. Annota che la visibilità è ottima. Nota che le luci della nave sono riflesse sulla superficie del mare.
22.23-22.25 – Dopo che il Moby Prince si lascia l’Agip Abruzzo sulla destra, succede qualcosa che fa deviare il traghetto verso la sua destra, fino a fargli fare un giro quasi completo e a portarlo a infilare la prua nella cisterna dell’Agip Abruzzo. Di solito è adibita a contenere acqua sporca di sentina e risulta di lavaggio. In quel periodo invece c’è parte del carico di petrolio.
22.25.27 – Il marconista lancia il primo mayday: “Siamo in collisione, prendiamo fuoco”. La comunicazione si interrompe in modo brusco. A seguire arrivano le prime comunicazioni concitate del comandante della petroliera Agip Abruzzo, Renato Superina.
Dopo le 22.25 – La prua del Moby Prince resta incagliata per molti minuti nella cisterna, forse fino a 10. Il petrolio fuoriuscito, altamente infiammabile, prende fuoco anche per le alte temperature dovute allo sfregamento delle lamiere. L’incendio scoppia prima sul petrolio riversato in mare e sulla prua del Moby Prince, dove arriva probabilmente anche nebulizzato.
22.35 – Cesare Gentile, ufficiale della Guardia di Finanza, è tra i primi a uscire con la motovedetta. La visibilità, dirà, è di 7 miglia, circa 13 chilometri. Nota il fumo che esce da un fumaiolo in lontananza, propone al comandante della sua vedetta di raggiungerlo, ma in quel momento dall’Agip Abruzzo lanciano 5 razzi di segnalazione e dal canale d’emergenza invitano ad indirizzarsi verso la petroliera.
22.30-23 – Il traghetto si disincaglia dalla petroliera. La commissione esclude che sia avvenuto in modo “naturale”, accreditando invece l’ipotesi di una manovra in “retromarcia”.
22.30-23 – Nonostante le due navi restino attaccate per diversi minuti, l’equipaggio dell’Agip Abruzzo non parlerà mai di traghetto e, anzi, correggerà la segnalazione di una “nave” con quella di una “bettolina” (il Moby è lungo 116 metri).
Dalle 23 – Arrivano i primi mezzi di soccorso intorno alla petroliera: due rimorchiatori, una motovedetta della Capitaneria e una dei vigili del fuoco.
23 circa – Il comandante del porto, l’ammiraglio Sergio Albanese, arriva in Capitaneria di ritorno da una cena a La Spezia.
23.10 – Albanese sale su una motovedetta e, insieme a un sottoposto, prende il largo. Da questo momento non darà indicazioni né farà richieste di informazioni.
23.32 – Un rimorchiatore comunica che si sta dirigendo verso la seconda nave, ancora non identificata.
23.35 – Renato Superina, comandante dell’Agip, comunica che l’equipaggio lascerà la petroliera.
23.43 – Due ormeggiatori, Mauro Valli e Walter Mattei, incrociano la Moby Prince ormai senza comando. Recuperano l’unico superstite, Alessio Bertrand, il mozzo: si è salvato rimanendo aggrappato alla parte esteriore della ringhiera laterale di sinistra.
23.45 – Valli comunica per la prima volta ufficialmente qual è la nave: il Moby Prince. Fino a quel momento nessuno ha pensato di cercarla.
23.45-2.20 – La nave viene “sorvegliata”, ma non c’è alcun tentativo di nessun tipo: né di spegnere le fiamme né di tentare un accesso a bordo.
2.20 – Gianni Veneruso, marinaio dei rimorchiatori Neri, sale a bordo del traghetto, toccando lo scafo con le mani, per agganciare il Moby Prince ormai alla deriva. E’ il primo a salire sulla nave. Veneruso racconta di essere salito – in tuta antincendio e un paio di stivali di gomma – laddove non c’erano particolari materiali che potessero alimentare l’incendio.
3 circa – L’ammiraglio Sergio Albanese parla alle televisioni dicendo tra l’altro che in mare “c’è una nebbia fittissima, 4-5 metri”, che la posizione della petroliera “è senz’altro regolare”. Tra le ipotesi elenca la “nebbia” e il “buio”.
Ore 5 circa – Secondo il rapporto del capo delle Capitanerie Giuseppe Francese solo in questo momento c’è un sufficiente coordinamento dei soccorsi.
Prime ore dell’11 aprile – Il Moby Prince viene agganciato e trainato in porto. Durante alcune riprese Rai da un elicottero si vede la figura umana integra accanto ad altri cadaveri carbonizzati. Si tratta di Antonio Rodi, un cameriere di bordo. L’ipotesi è che sia rimasto rifugiato in un’area della nave immune all’incendio per poi risalire al momento dell’arrivo dei soccorsi, venendo sopraffatto dal calore delle lamiere. Ma è una delle prove della lunga sopravvivenza a bordo.