“I soldi non arriveranno a loro a meno che non si siedano al tavolo dei negoziati”. A Davos per il World Economic Forum, Donald Trump ha aperto un nuovo capitolo nello scontro a distanza ingaggiato con l’Autorità nazionale Palestinese con il riconoscimento di Gerusalemme come capita di Israele. Dopo l’annuncio dell’8 dicembre, il leader dell’Anp Abu Mazen aveva disconosciuto il ruolo di mediazione che gli Stati Uniti avevano avuto fino ad allora nelle relazioni tra palestinesi e israeliani. E il 16 gennaio l’amministrazione Trump ha annunciato di avere tagliato di 65 milioni di dollari i fondi destinati all’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi.
“Se i palestinesi non torneranno al tavolo dei negoziati con Israele gli Usa potrebbero tagliare altri fondi“, ha rincarato la minaccia il tycoon nel corso dell’incontro bilaterale con il premier israeliano Benyamin Netanyahu, a margine del forum. “I soldi sono sul tavolo. E i soldi non erano mai stati sul tavolo – ha proseguito – noi diamo loro centinaia di milioni” e “quei soldi non arriveranno a loro a meno che non si siedano al tavolo dei negoziati”. Un incontro definito “grandioso” da Netanyahu, cui ha fatto eco il presidente americano: “Il rapporto con Israele non è mai stato così forte. Il fatto più importante è il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme. Siamo decisamente in anticipo rispetto ai programmi, siamo in anticipo di anni”. Ma Israele, ha proseguito, “pagherà” facendo a sua volta concessioni.
La risposta palestinese non si è fatta attendere: “Se la questione di Gerusalemme è fuori dal tavolo, gli Usa resteranno fuori da quel tavolo”, ha detto Nabil Abu Rudeinah, portavoce di Abu Mazen, definendo “inaccettabile” il discorso di Trump. I palestinesi sono “pronti a impegnarsi in negoziati” con un processo di pace “basato su uno Stato palestinese con Gerusalemme est capitale”. “Abu Mazen ha insultato il presidente americano”, ha replicato l’ambasciatrice Usa all‘Onu, Nikki Haley, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza sul Medio Oriente. La diplomatica statunitense ha quindi affermato che al leader palestinese “mancano il coraggio e la volontà di cercare la pace. Gli Usa sono totalmente pronti alla pace, e rimangono impegnati alla soluzione dei due Stati, se negoziata dalle parti”.
Il presidente Usa ha avuto un colloquio anche con il primo ministro britannico Theresa May. Un incontro che arriva dopo le recenti tensioni fra i due alleati storici sulle due sponde dell’Atlantico: May aveva sollevato critiche verso la scelta del capo della Casa Bianca di ritwittare un video di un gruppo britannico di estrema destra e anti musulmano. Nei giorni scorsi il presidente aveva cancellato un suo viaggio a Londra previsto per l’apertura della nuova ambasciata Usa nella capitale britannica. Così oggi a Davos Trump ha precisato: “Abbiamo un rapporto molto buono, sebbene c’è chi non lo crede”, si tratta di “voci false” che vanno “corrette”. Da parte sua Theresa May ha sottolineato che la “special relationship” fra Washington e Londra continua.
Ma il presidente americano è sbarcato nel tempio del libero commercio mondiale soprattutto per lanciare la sua offensiva protezionistica. Il 23 gennaio il capo della Casa Bianca ha deciso di imporre dazi del 30% sulle importazioni di pannelli solari e lavatrici. E domani parlerà alla platea dei big dell’economia, alfieri della globalizzazione.