Ascoltando i programmi elettorali dei vari movimenti, partiti e partitelli, la domanda che viene istintiva è se vadano smaltiti nell’umido o nell’indifferenziata; il livello di inattendibilità e impraticabilità economica e finanziaria delle maggior parte delle promesse è così alto da farle considerare spazzatura da distruggere, neppure riciclabile; i dibattiti politici oggi somigliano alla barzelletta del cacciatore e del pescatore, con anguille lunghe tre metri, ma la seconda, almeno, lo scopo di far ridere lo ha dichiarato.
Ciò che accomuna le mirabolanti promesse di moltiplicazione degli zecchini d’oro nel campo dei miracoli è il generico blandire le aspettative collettive di manna dal cielo; non è (ancora) stato promesso che “le vacanze avranno principio col primo di gennaio e finiranno con l’ultimo di dicembre”, ma al paese dei balocchi siano molto vicini, specialmente se, dato che nessuno vincerà le elezioni, si facesse un bel governo di distruzione nazionale che attuasse i programmi di tutti: per un paio di settimane (dopo finirebbero i soldi) un cittadino potrebbe godere di un reddito di cittadinanza che può andare da 780 euro mensili per i single a 1.950 per famiglie con due figli con più di 14 anni (Di Maio); se non avesse versato un contributo per tutta la vita potrebbe avere una pensione sociale di 1.000 €/mese (Berlusconi) e riceverla prima con la abolizione della legge Fornero (Di Maio, Salvini); questi redditi sarebbero tassati pochissimo grazie a una flat tax al 15% (Berlusconi e Salvini) e dal netto risultante non dovrebbe più togliere né il canone Rai (Renzi), né le rette universitarie dei figli (Grasso), né il bollo sulla prima auto (Berlusconi). Se per caso gli venisse l’idea bislacca di mettersi a lavorare nonostante tutti gli incentivi a non farlo, non guadagnerebbe meno di 10 €/ora (Renzi) e, grazie alla abolizione del jobs act (Liberi e Uguali, M5S, Berlusconi), avrebbe posto garantito a vita indipendentemente dalle condizioni economiche generali e del datore di lavoro. Se poi fosse un insegnante, avrebbe diritto a un posto nella propria regione (Lega) indipendentemente dal fatto che ci siano o meno studenti. E’ vero che dai rubinetti non uscirebbe miele e che dal cielo continuerebbero a scendere pioggia e grandine e non fiori, ma insomma…
Peccato che non sia possibile. Il mondo non è questo, il giorno nel quale robot auto prodottisi provvederanno all’umanità tutto il necessario e il superfluo e ciascuno potrà schioccare le dita e avere qualsiasi cosa desideri è di la da venire. Per il momento la ricchezza qualcuno di umano la deve produrre ed essendo limitata, la sua distribuzione crea frizioni, soprattutto se ci sono più fruitori che produttori.
Al di là del pressapochismo, le fantasiose promesse elettorali che sembrano suggerite da sangiovese e barbera, danno la sensazione che tutti gli schieramenti vogliano far credere agli elettori che si stia vivendo in un mondo del primo tipo; nessuno ha il coraggio, la dignità e la scintilla dello statista per spiegare, come fece Churchill, che la vita chiede anche sangue, sudore e lacrime e che un mondo dove non venga riconosciuto e premiato il merito e dove non venga incentivata la competizione positiva ha tutt’altro che un futuro roseo.
Nessuno ha il rigore di spiegare che, per esempio, raddoppiare le pensioni sociali significherebbe raddoppiare pensioni che non hanno alcun montante contributivo durante tutta la vita, con la complicazione non banale che mescolati alle persone che non hanno oggettivamente potuto versare contributi ci sono gli evasori fiscali e contributivi totali o che il reddito di cittadinanza si può istituire unicamente prelevando la ricchezza prodotta da altri destinandola in modo pletorico a chi non ne produce e riducendo le risorse disponibili per l’erogazione dei servizi necessari alla collettività.
Nessuno ha neppure la dignità di spiegare che chi sceglie sistematicamente la via di minor sacrificio, non studiare, non spostarsi dalla propria zona di nascita, evadere tasse e contributi oppure pensa che la società debba adeguarsi a lui e non viceversa, imparando ciò che piace e non ciò che serve, pretendendo leggi che proteggano immutabilmente la sua categoria, si sta lastricando una strada verso un’esistenza di possibili stenti ai quali non è né scontato né giusto che qualcun altro debba sistematicamente rimediare; anche perché a forza di spremere senza ritegno né senso dell’equità la categoria dei produttori di reddito accertato, questa farà la fine dell’asino al quale il padrone progressivamente toglie il cibo facendolo lavorare e che muore proprio quando aveva imparato a lavorare stando digiuno.
Ma senza una categoria che produce ricchezza, cosa resta da promettere e dividere? Solo povertà, per tutti; e forse tra le righe delle promesse elettorali è questo che in realtà va letto, ma le promesse illusorie che nascondono l’accelerazione verso la povertà sono eticamente perverse, oltre che irrealizzabili.