Cronaca

Gianfranco Donadei, addio a una bella persona oltre che sincero ambientalista

Tempo fa volevo scrivere un libro raccogliendo le interviste alle belle persone che avevo incontrato in vita mia. Poi non ne feci nulla, anche perché in effetti di belle persone, alla fine della fiera, ne avevo incontrato troppo poche.

Ma se l’avessi scritto il primo della lista sarebbe stato certamente Gianfranco, Gianfranco Donadei.

Nativo di Chiappera, in Valle Maira, svolse per tutta la vita il mestiere di neuropsichiatra, prima all’ospedale di Cuneo, poi a casa sua, una bellissima villa con vista sulla cerchia alpina alle porte di Cuneo, dove riceveva e curava anche gratuitamente le persone che vi si recavano. Perché per lui le persone non erano numeri, avevano un nome ed un cognome, ed erano tutte da rispettare con i loro diritti.

Fu per questo che si impegnò in politica facendo crescere il Partito Radicale degli inizi, battendosi per il divorzio e l’aborto. E fu per questo che non si riconobbe più nel partito dei decenni successivi, di cui gli veniva solo da sorridere amaramente.

Ed era perché per lui erano importanti le persone ed i loro diritti che fu anche un sincero ambientalista. Ci conoscemmo quando iniziò la battaglia contro l’autostrada del Mercantour, di cui si favoleggiava che avrebbe dovuto percorrere, e distruggere la Valle Stura di Demonte, una delle poche battaglie che vincemmo, e che rimane testimoniata in un libro che volemmo fortemente “Disastro autostrada”.

Mentre perdemmo quella successiva, un’altra stupidissima grande opera viaria, la Asti–Cuneo.

Gianfranco era la dimostrazione vivente che si poteva essere strenui difensori dell’ambiente proprio partendo dalla difesa degli uomini e dei loro diritti, combattendo le ingiustizie. Fu così che diventammo amici, pur partendo io da una posizione in cui lui non si riconosceva, visto che per me più importanti degli uomini erano gli animali, le piante, le rocce.

E fu così che continuammo a frequentarci anche dopo le battaglie, ormai legati da un sentimento di profondo affetto e di stima reciproca. Andavo lì, a casa sua, ci bevevamo una bottiglia di dolcetto, che lui adorava, mangiavamo qualcosa, io contavo i gatti randagi che frequentavano il suo giardino ed a cui lui dava la pappa, e poi parlavamo di come andavano le cose. Non propriamente nella direzione che lui ed io avevamo auspicato. Poi mi accompagnava al cancello e mi salutava finché non ero uscito dalla vista.

Io non lo so che cosa ci aspetti dopo morti, ma sono certo che una persona che vorrei rivedere lassù, laggiù, non so dove, è Gianfranco.