Viaggiano in treno, non lo stesso di Neeson per loro fortuna, anche i pacifici miniaturizzati di Downsizing nei loro micro vani accanto ai giganteschi normali. Il distopico dramedy firmato Alexander Payne nel sottotitolo italiano suggerisce un ironico Vivere alla grande, ma l’eldorado del benessere ottenuto col rimpicciolimento degli umani genererà il minidramma della solitudine di Matt Damon, per l’occasione maritino dalla vita mediocre che compie il piccolo grande passo. Tema affascinante quello della moderna Lilliput, ma Payne, in maniera pericolosamente anticonvenzionale, in una microsocietà di nuovi ricchi decide di osservare meglio gli ultimi, i poveri e i malati, a spese di personaggi più cool e guasconi, ma soprattutto narrativamente stuzzicanti come il faccendiere serbo di quella splendida faccia da schiaffi che è Christoph Waltz. Entra così in scena Hong Chau nei panni di una donna delle pulizie con una protesi alla gamba e lo spiccato altruismo. Discreto film di cassetta, aggraziato ma lontano dallo sconvolgere quanto la tecnologia rivoluzionaria che racconta. Anche qui due anime agli antipodi in un solo film (Caritas made in 20th Century Fox da una parte, blockbuster effetti speciali e star dall’altra), ma ci si aggiungono un pizzico di ambientalismo su inquinamento da biomasse, scarsità alimentare e scienza futuristica raccontata con la superficialità di una favoletta.

Con Tutti gli uomini di Victoria si va in Francia. Pur presentata alla Settimana della Critica di Cannes nel 2016, la storia di quest’avvocatessa quarantenne divorziata e mangiauomini tutta lavoro e anaffettività non convince proprio. Il suo toy boy, uno squisito Vincent Lacoste (peraltro incredibilmente somigliante al nostro Francesco Nuti ai tempi dei Giancattivi) presenta comunque un’evoluzione dalla repentinità poco credibile. La commedia sentimental cerebrale (si ride poco e a denti stretti) segue lo schema del legal thriller (ma senza thrilling) giocandosi tutta intorno a una causa che coinvolgerà i maschietti della vita privata e professionale di una Virginie Efira che incarna una specie di sfrontata risposta francese a Bridget Jones. Ma qui non si scatenano simpatie tantomeno empatie con la protagonista: il film resta algido, scollato e non riesce a coinvolgere nonostante le tante trovate. Il dato interessante è invece la decisione dell’Ordine degli Avvocati di Roma: proiettare il film il 24 gennaio alla Casa del Cinema all’interno dell’incontro L’esercizio della professione legale al femminile. Grazie al trattamento giurisprudenziale estremamente tecnico e realistico di una causa, per la prima volta alla visione di un film vengono riconosciuti crediti formativi deontologici.

https://www.youtube.com/watch?v=GcRePvaneYU

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I film della settimana al cinema, su RaiPlay e Netflix: da Matt Damon a Ligabue

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